Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
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Intermezzo di rime [Editio princeps, 1883]

III Peccato di maggio

I 49

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III

Peccato di maggio

I 49

Or così fu; pel bosco andavamo. Sottile

ella era e tutta bionda; su la nuca infantile

due ciocche avean que’ caldi luccicori vermigli

che han le vergini antiche di Tadema; tra i cigli

lunghi li occhi avean l’iride verdognola, raggiante

di fini àcini d’oro. Da l’alta erba odorante

ella sorgeva eretta, come un vivente stelo.

Noi andavam pel bosco. Sopra un fondo di cielo

aranciato i grandi alberi, dinanzi, ne ’l fogliame

prendean tinte metalliche, toni intensi di rame;

parean fusi ne ’l bronzo i tronchi, ma di sotto

a le scorze, passando, sentivamo interrotto

noi ascendere il brivido pugnante de le linfe

e il romper de le gemme noi sentivamo.

O ninfe

amadrïadi, occulte ne le estreme radici,

non voi dunque cantaste su ’l passaggio li auspicî

a l’amore? —

Io guardavo Yella, muto: le acerbe

risa di lei, tra ’l vasto fluttuare de l’erbe

a ’l vento, sotto i dômi alti de la verdura,

squillavano. Ed a ’l riso le si schiudea la pura

chiostra de i denti, a ’l riso l’arco de la gengiva

quasi ferinamente rosso le si scopriva.

Io guardavo, fiutando voluttuosamente;

poi che il corpo di lei esalava un ardente

profumo, qual di frutto maturo; ed un’alena

tepida palpitava ne ’l bosco; e in ogni vena

a me correva l’aspro vin de la giovinezza…

Oh freschissime risa tintinnanti a la brezza

de ’l vespro, salutanti da ’l bel grembo selvaggio

di un bosco il morituro sol di calendimaggio!


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