Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
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Intermezzo di rime [Editio princeps, 1883]

III Peccato di maggio

II 50

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II 50

Noi andavamo. — Ah, senti, senti i merli fischiare

ella disse, fermandosi. Da ’l ciel crepuscolare

discendeva su i rami la nebbia violetta;

lentamente. D’un tratto, dietro l’ultima vetta

scomparve, in fondo a ’l lago de le nuvole, il sole.

Allora fu una molle cascata di viole

ne l’aria: un solco d’oro s’apriva basso; rotto

il bagliore su i culmini indugiava; di sotto

a i culmini illustrati, già ne l’assopimento

grave i tronchi annegavano; ne lo scoloramento

de la sera le cose perdevano le forme.

Le viole cadevano; era una pioggia enorme.

Tutto il bosco, un istante, parve a la mia vista

una maravigliosa foresta di ametista

che risplendeva; e Yella parve la maga. Eretta

fra l’erba, ella sentiva la nebbia violetta

avvolgerla; ed a l’ultima luce crepuscolare

ella diede li addii, con un alto cantare.

Ella cantava stretta a ’l mio fianco. Una ciocca

de’ suoi capelli a tratti mi sfiorava la bocca;

e allor come un profumo strano di cosa viva

m’irritava le nari avide, mi saliva

pel capo. Io le guardai la gola palpitante

a ’l ritmo de le note, bianca bianca.

Le piante

curve a ’l passaggio udivano?

Io le guardai la gola.

Or vanivan d’in torno le nebbie di viola

ne l’aria; una penombra dolce velava l’aria,

e su da la foresta profonda e solitaria

sorgevano le voci de le cose, li odori

de le cose. Pareva, non so, come da i fiori,

da le foglie, da l’erbe un sogno vegetale

salisse e si spandesse, grande e soave; quale,

non so, da le dormenti acque a l’alba un vapore,

insensibile: un sogno di foresta in amore

ch’io respirava.

O Yellasusurrai. Mi sentivo

languire; ed il suo braccio seminudo, il suo vivo

braccio di marmo, avvinto a ’l mio, m’insinuava

come un vellicamento fievole. Ma cantava

ella; ma ne ’l suo corpo di vergine non anche

fluiva il dolce tossico de ’l disìo; ma le bianche

virginità de ’l petto non avevano pure

un anelito.


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