Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
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Intermezzo di rime [Editio princeps, 1883]

III Peccato di maggio

IV

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IV

Quando il grande letargo de ’l bosco ne i chiarori

lunari si sommerse, crescevano li odori

su da ’l bosco profondo in marea fresca; e il vento

carico de li odori per quel biancheggiamento

mettea soffi, recando come lunghi bramiti

di cervi in lontananza. Or le cerve da i miti

occhi umani ascoltavano ebre di desiderio

que’ richiami d’amore, trepide ne ’l misterio

de l’ombre vigilando se non già tra ’l fogliame

d’in torno luccicassero li occhi ardenti di rame

d’un amante. Passava il vento: i secolari

tronchi di quercia ergevano a li incanti lunari

le membra, come atleti che chiedessero abbracci,

ansando ed anelando, non più paghi de i lacci

de l’edera. Parevano rettili alti in agguato

certi alberi; mettevano su ’l candore perlato

de la luna, certi alberi, come una efflorescenza

rigida di dïaspro; e ne la evanescenza

de la luna era come una selva lontana

di cupole e di aguglie, era come una strana

città che si perdeva in fughe di viventi

colonne, pel vapore. Ma li odori crescenti

attossicavan l’aria; ma da quel gran letargo

vegetale esalava un respirare, un largo

respirare di belva; ma come voci rotte

di piacere animavano il bosco, ne la notte.


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