Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
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Intermezzo di rime [Editio princeps, 1883]

III Peccato di maggio

V 51

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V 51

Noi ci fermammo. A noi sovra il capo il fulgore

piovea placido e fresco; ne le carni un languore

novo metteane, quasi penetrasse la cute

ammollendo le vene. Ora un disìo di acute

voluttà mi pungeva, innanzi a quella bianca

vergine inconsapevole. — Io sono tanto stanca

ella disse, piegando ne la persona…

Oh come

si scoperse la gola tra l’onda de le chiome

e le iridi si persero, fiori ne ’l latte, in fondo

a cerchio de le pàlpebre! Oh come il sen rotondo

sgorgò fuor de la tunica!

Io mi sentii su li occhi

scendere un denso velo; e le caddi a’ ginocchi

e con avide mani su pel suo torso ascesi

e tremar come un’arpa viva il suo torso intesi.

Atterrita a que’ subiti vibramenti d’ignote

fibre, ella con aneliti, gemiti, con immote

le pupille e la bocca dilatata, pendeva

su me. Ne le sue giovini carni il peccato d’Eva

squillava a gran martello, come sopra sonore

làmine di metallo: È l’ora de l’amore!

Così, vinta, si stese. Un irrigidimento

di piacere le prese il corpo; semispento

l’occhio le naufragava ne l’onda de ’l piacere.

Chino a lei su la bocca, io tutto, come a bere

da un calice, fremendo di conquista, sentivo

le punte de ’l suo petto dirizzarsi, a ’l lascivo

tentar de le mie dita, quali carnosi fiori…

O bei fiori vermigli, che avevate sapori

di mandorla, di latte, freschi sapori umani,

o bei teneri fiori, io mi sento su i vani

versi, a ’l ricordo, ancora impallidir la faccia,

ed ancora le reni, come allora, mi ghiaccia

un brivido!


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