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V 51
Noi ci fermammo. A noi sovra il capo il fulgore
piovea placido e fresco; ne le carni un languore
novo metteane, quasi penetrasse la cute
ammollendo le vene. Ora un disìo di acute
voluttà mi pungeva, innanzi a quella bianca
vergine inconsapevole. — Io sono tanto stanca —
ella disse, piegando ne la persona…
Oh come
si scoperse la gola tra l’onda de le chiome
e le iridi si persero, fiori ne ’l latte, in fondo
a cerchio de le pàlpebre! Oh come il sen rotondo
scendere un denso velo; e le caddi a’ ginocchi
e con avide mani su pe ’l suo torso ascesi
e tremar come un’arpa viva il suo torso intesi.
Atterrita a que’ subiti vibramenti d’ignote
fibre, ella con aneliti, gemiti, con immote
le pupille e la bocca dilatata, pendeva
su me. Ne le sue giovini carni il peccato d’Eva
squillava a gran martello, come sopra sonore
làmine di metallo: È l’ora de l’amore!
Così, vinta, si stese. Un irrigidimento
di piacere le prese il corpo; semispento
l’occhio le naufragava ne l’onda de ’l piacere.
Chino a lei su la bocca, io tutto, come a bere
da un calice, fremendo di conquista, sentivo
le punte de ’l suo petto dirizzarsi, a ’l lascivo
tentar de le mie dita, quali carnosi fiori…
O bei fiori vermigli, che avevate sapori
di mandorla, di latte, freschi sapori umani,
o bei teneri fiori, io mi sento su i vani
versi, a ’l ricordo, ancora impallidir la faccia,
ed ancora le reni, come allora, mi ghiaccia
un brivido!