Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
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Intermezzo di rime [Editio princeps, 1883]

VI Venere d’acqua dolce

III 61

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III 61

E così tante volte io sovra il letto

de l’erbe amai quella superba e rude

Venere fluviale, ne ’l conspetto

de’ pioppi. Ed entro il cerchio de le ignude

braccia, a ’l profumo de l’ignudo petto

il mio vigore lentamente in crude

lascivie illanguidiva. Era una morte

oblïosa, un incanto ove la forte

adolescenza si perdeva; in quella

primavera de ’l fiume, in quel felice

risveglio de la patria. Una novella

onda di umore su da la radice

prendea le cime, qual da una mammella

di femmina gigante, irrigatrice

di vite, il latte; ed una sonnolenza

quasi di parto ad ora ad or l’ardenza

addolciva de l’aria; e da ’l lavoro

augusto de le vite rinnovate,

ne ’l silenzio de l’aria, come un coro

naturale saliva; e de l’estate

l’alito già saliva; e a messidoro

i canti, ne le vigne soleggiate,

tra i solchi de ’l frumento, pe’ i lontani

culmini già salìano, i canti umani!

Noi portammo una viva ecloga in fiore

a traverso i tumulti. In ogni nervo

io sentiva fuggirsene il vigore;

ma tenuto a quel corpo io, come un servo

a ’l suo ferro, non grido altro d’amore

avea per Nara che il bramir de ’l cervo

in disìo. Quando muta ella tra i fusti

appariva de’ pioppi, su i robusti

fianchi ondeggiante, ne ’l novilunare

auspicio, e le sue chiome ardue di rame

si tingeano e la voglia entro le chiare

iridi ardeva in folgori di lame,

io mi sentiva i muscoli tremare

di febbre. Ella venìa, bella ed infame,

a sazïarsi. Ed io non la tenea

per conquista: ella a me, come una dea

a la gente mortale, il godimento

de le membra concesse. Alta, su ’l fieno,

senza pietà, me ne l’abbattimento

lasciava; con quel grande occhio sereno

riguardandomi, lungi a passo lento

perdevasi ne l’ombre. Ma il veleno

de le lussurie sue ne le mie carni

s’insinuava a rodermi li scarni

fianchi; ma de la sua pelle i tenaci

effluvi una prurigine lasciva

dàvanmi a ’l sangue; ma de’ lunghi baci

mi restava il sapor ne la saliva,

quando a provar carezze meglio audaci

con la sua lingua su la mia gengiva

ella scorreva e tra la molle bava

le labbra con i denti mi segnava.


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