Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Isaotta Guttadauro ed altre poesie
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RONDÒ PASTORALE

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                       RONDÒ PASTORALE

A ’l gran Maggio i vènti aulenti
per le selve hanno lamenti
vaghi e assai lontani cori;
e, recando ampi tesori
d’acque, suonan le correnti.

Oh bei colli, sorridenti
ne’ rosati albeggiamenti,
d’onde salgon mille odori
a’ l gran Maggio!

Siede in mezzo i bianchi armenti
Gallo e trae novi concenti
da’ l suo flauto a sette fori;
e i richiami ode Licori
da le siepi rifiorenti
a’ l gran Maggio.
[169]

[170]

Su la scala, ove rotte
hanno gemiti l’onde,
Rosalinda vien meno
tra le braccia a Silvandro.

Romanza.

[171]

Disegno di Vincenzo Cabianca.

[172]

[173]

 

                       RONDÒ

Come sorga la luna
da le cime selvose
e grave su le cose
sia l’oblio de la luna,

amica, tu verrai
furtiva ne ’l verziere.
Hanno i consci rosai
ombre profonde e nere.

O amica, senz’alcuna
tema verrai: le rose
avran latébre ascose
per lor sorella bruna,
come sorga la luna.
[174]

 

                       ROMANZA

Ella tremando venne
alfine, ove a me piacque.
Che mai dicevan l’acque
ne ’l silenzio solenne?

Palpitavan le stelle
ne la conca profonda;
come fiori, più belle
splendeano in tra la fronda.

Parevano i roseti
ne l’ombra alte compagi
di neve: in loro ambagi
avean cari segreti.

Ella con le due braccia
il mio collo ricinse,
e mi porse la faccia,
e tutta a me s’avvinse.[175]

Con sì lungo piacere
io la baciai d’amore
che parvemi ne ’l cuore
tutte le rose avere.

Ben or, se l’aulorose
labbra onde il miel trabocca
bacio, sapor di rose
mi si diffonde in bocca.
[176]

 

                       RONDÒ

Entro i boschi alti e soli
(era la luna piena)
fluiva in larga vena
canto di rosignoli.

Da ’l triste inno corale
pendeva ella, in ascolto.
Chino su ’l davanzale,
io pendea da ’l suo volto.

Non i miei lunghi duoli,
non de ’l suo cor la pena
a la notte serena
diceano i rosignoli
entro i boschi alti e soli?
[177]

 

                       RONDÒ

Lungi i boschi alti e sonori
dove l’Austro avea gran lite
e da mille verdi vite
salían canti a’ nostri amori!

Eran tristi i bei cantori
a le nostre dipartite.
Ma pur oggi, o amica, dite:
non udite i nuovi cori?

Ne’ religïosi albori
sorge Roma, augusta e mite;
e le sue cupole ardite
prende il sole e i vasti fòri,
augurando a’ nostri amori.
[178]

 

                       ROMANZA

Dolcemente muor Febbraio
in un biondo suo colore.
Tutta a ’l sol, come un rosaio,
la gran piazza aulisce in fiore.

Dai novelli fochi accesa,
tutta a ’l sol, la Trinità
su la tripla scala ride
ne la pia serenità.

L’obelisco pur fiorito
pare, quale un roseo stelo;
in sue vene di granito
ei gioisce, a mezzo il cielo.

Ode a piè de l’alta scala
la fontana mormorar,
vede a ’l sol l’acque croscianti
ne la barca scintillar.[179]

In sua gloria la Madonna
sorridendo benedice
di su l’agile colonna
lo spettacolo felice.

Cresce il sole per la piazza
dilagando in copia d’or.
È passata la mia bella
e con ella va il mio cuor.
[180]

 

                       RONDÒ

Quante volte, in su’ mattini
chiari e tiepidi, io l’aspetto!
Ella ancora ne ’l suo letto
ride ai sogni matutini.

Su la piazza Barberini
s’apre il ciel, zaffiro schietto.
Il Tritone de ’l Bernini
leva il candido suo getto.

I nudi olmi a’ Cappuccini
metton già qualche rametto:
senton giugnere il diletto
de’ meriggi marzolini.
Come il cuor balzami in petto
se colei vedo, che aspetto,
in su’ tiepidi mattini!
[181]

 

                       ROMANZA

Vi sovviene? Fu il convegno
sotto l’Arco dei Pantani.
Voi, saltando giù da ’l legno,
mi porgeste ambo le mani.

Ridean l’agili colonne,
tutte argento buono, a ’l sol;
ed i passeri loquaci
le cingean d’allegro vol.

Sotto l’Arco il cavalcante
attendea con i due bai.
Con sì pronto atto elegante
voi balzaste, ch’io pensai:

— Quante volte ne’ selvaggi
parchi il cervo ella inseguì?
Dolce cosa al fianco suo
galoppar tra gli allalì![182]

Voi chiedeste, con un riso
ne’ belli occhi: — Dunque andiamo! —
Era bianco il vostro viso,
bianco assai. Risposi: — Andiamo. —

Ma facean altre parole
gran tumulti in fondo a me.
Le contenni: il cuor ne ’l petto
con che furia mi battè!

Era il fòro taciturno
da una grave ombra occupato.
Sopra il tempio di Saturno
indugiava il , pacato.

Un non so che senso augusto
si spargea, di deità,
su da quella morta pietra
ne la gran vacuità.

Un istante voi fermaste
il cavallo in su ’l confine.
Ne l’eguale ombra più vaste
digradavan le ruine.

Ma s’apría più vasto ancora
e profondo il mio desir.
Io sentìa l’impeto forte
a la mia bocca salir.[183]

Voi diceste: — Or dunque il vostro
bel San Giorgio? È ancor lontano? —
In silenzio alto di chiostro
era il fòro. Con che strano

sentimento di tristezza
ne ’l silenzio risonò
quella voce, e ne ’l mio cuore
la speranza ravvivò!

A San Giorgio io vi guidai,
a la chiesa erma e gentile
che fiorito a’ novi rai
leva il roseo campanile.

Da la prossima Cloaca,
che de ’l maggio a la virtù
pur fioría, di femminette
gran cantar veniva su.

I mattoni bisantini
rilucean vermigli a ’l sole,
come fosser pietre fini,
carboncelli o cornïole.

Oh San Giorgio benedetto!
Ivi alfin l’amor s’aprì.
Dolci cose io vi parlai.
Piano, voi diceste sì.
[184]

 

                       ROMANZA

Dolce ne la memoria
quella vista si leva.
Su l’Aventino ardeva
lento il giorno: una gloria

come di bianche rose
versava il ciel su ’l colle
e copría de la molle
neve tutte le cose.

A ’l pian nebbie leggere
si spandeano da ’l fiume:
parean, ne ’l dubbio lume,
volubili riviere

traenti in loro ambagi
favolosi navigli.
Dietro, grandi e vermigli
tra i cipressi i palagi[185]

su ’l colle imperiale
parean arsi da chiusi
fochi. In un sol confusi
romor profondo eguale,

suoni d’opere umane
salían da la vicina
ripa; a Santa Sabina
squillavan le campane.

Una pace serena,
la pia pace che amavi
ne’ tuoi cieli soavi,
o Claudio di Lorena,

si spandea ne l’occaso,
piovea su’ cuori oblío.
Vinto l’essere mio
da quel fascino e invaso,

tutto de la recente
voluttà pieno ancora
(come, o dolce signora,
la tua bocca era ardente!),

all’alto all’alto, anélo,
tendea, spenta ogni guerra.
E parea che la terra
illuminasse il cielo.
[186]

 

                       OUTA OCCIDENTALE

Guarda la Luna
tra li alberi fioriti;
e par che inviti
ad amar sotto i miti
incanti ch’ella aduna.

Veggo da i lidi
selvagge gru passare
con lunghi gridi
in vol triangolare
su ’l grande occhio lunare.

Veggo pel lume
le donne entro i burchielli:
vanno su ’l fiume,
date all’acqua i capelli,
tra i gridi delli uccelli.[187]

Tende ogni amante
all’amante le braccia
e a l’allaccia
entro la bianca traccia
de l’astro radiante.

Passan li uccelli.
Oh chiome feminili,
chiome gentili,
lunghe reti sottili
tratte dietro i burchielli!

Oh di roseti
profondi laberinti
ove i poeti
in giacigli segreti
stanno alle belle avvinti!

La nostra nave,
cui non pinse Ki-Tsora,
va con soave
andare; e su la prora
tu ti stendi, o signora.

I tuoi capelli
sciolti hanno il fresco odore
dei ramoscelli
che ondeggian lenti, in fiore,
con sommesso romore.[188]

La tua man breve,
passando, i fiori coglie:
par tra le foglie,
tra i calici di neve
una farfalla, lieve.

Ma, come pieno
è il grembo, ti riposi:
palpita il seno,
bevono il gran sereno
li occhi meravigliosi;

e dolcemente
stan su i fiori adagiate
le mani. — Oh fate,
belle mani adorate,
il gesto che consente!
[189]

 

                       LAI

La Luna diffonde
pecieli suo latte:
a lei, chiuse e intatte,
sospiran le selve,
profonde.

Un murmure, lento,
si spande ne ’l piano;
e giunge un lontano
di cervi bramire
su ’l vento.

Discende ne l’ode
la dea che m’è dolce;
e a me i suoni molce
de ’l verso. Ma l’altra
non ode.[190]

Ma quella ch’io amo
non ode. I roseti
ancora han quieti
misteri e fan lungi
richiamo;

e ancor ne’ giacigli
rimangono l’orme
recenti e le forme
recenti tra i fiori
vermigli.

Ma quella ch’io bramo
non meco vi giace...
O cuor senza pace,
ed occhi miei lassi,
moriamo.
[191]

 

                       RONDÒ

Com’api armoniose
uscenti a ’l novo sole
per le felici aiuole
de’ gigli e de le rose,

queste che Amor compose
delicate parole,
com’api armoniose
uscenti a ’l novo sole,

su le chiome odorose
che Amor cingere suole
di sogni e di viole
spìrino dolci cose,
com’api armoniose.
[192]

[193]

 

[194]

                      


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