Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'isotteo
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I. Il dolce grappolo2.

II 2.2

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II 2.2

Così chiamai l’amata in nona rima,

sotto il grande balcon di tiburtino

ov’han lo scudo i Guttadàuro-Alima

con gocce d’oro in campo oltremarino.

Dormìa la villa ne ’l silenzio: in cima

a li aranci de ’l nobile giardino

aprivano i paoni le gemmanti

piume verso la luce, e de’ lor canti

striduli salutavano il mattino.

Ella apparve. — Buon , messer cantore! —

disse ridendo con gentile volto.

Non questo è il tempo gaio de ’l pascore,

ma voi siete di ver loquace molto.

Or seguite a trovar rime d’amore

ché con benigno orecchio, ecco, v’ascolto. —

Io le dissi: — Madonna, io son già fioco.

Or voi di sì salutevole loco

scendete a me che son di pene avvolto! —

Ella tacque; ed il capo inchinò mite:

ne li occhi le ridea novo pensiere.

Tutta quanta di porpora una vite

saliva da l’inferior verziere,

e le bacchiche foglie colorite

mesceansi con le rose a le ringhiere.

Avean piegato un li aspri sermenti

a la copia de’ grappoli rubenti

che il padre Autunno infranse ne ’l bicchiere.

Ella disse ridendo: — Io pongo un patto,

vago sire, a la mia dedizïone. —

Il vago sire — io dissiaccoglie a ’l tratto

quel ch’Isaotta Guttadàuro pone. —

Ed ella: — Quando un sol grappolo intatto

ne’ vigneti che bagna il Latamone

lungh’esso il chiaro colle solatìo

troveremo, io sarò pronta a ’l disìo

vostro e sarete voi di me padrone. —


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