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III 2.3
Ella discese allora: un giuramento
fece sicuro il gran patto d’amore.
E prendemmo la china. Senza vento
era l’aria; ne ’l placido candore
erano i campi senza ondeggiamento,
brevi selve di canne erano in fiore.
Quasi una gratitudine beata
a ’l sole offrìa la terra bene amata:
era novembre, il tempo de ’l sopore.
D’innanzi, il Latamon, fiume regale,
lambiva in suo lunante arco i vigneti
ove l’ebro clamor vendemmiale
salutato avean già l’almo natale
de ’l vino autor di gioia, ora quieti.
Disse Madonna: — Siate accorto e saggio:
quivi incomincia il pio pellegrinaggio.
D’intorno s’inchinarono i canneti.
Io dissi: — Non mi giova la fortuna,
o Madonna Isaotta, ne ’l trovare. —
Ed ella a me: — Non ha virtude alcuna
il fino Amore per v’illuminare?
Il grappolo tardìo dove s’aduna
da lungo tempo, come in alveare,
la dolcezza de ’l miele a ’l lento foco
de ’l sole, aspetta noi per qualche loco. —
Io dissi: — Non mi stanco di cercare. —
Noi camminammo giù per la vermiglia
china che discendeva a l’acque d’oro.
Da lungi a quando a quando una famiglia
di villici sorgendo da ’l lavoro
ci guardava con alta maraviglia;
e le fanciulle interrompeano il coro.
Venendo innanzi con giulivo ardire
una gridò: — Che mai cerchi, o bel sire? —
Ed io risposi a lei: — Cerco un tesoro. —
Noi così camminammo: ella men lesta,
poi che non concedeami anco la mano.
In guardare tenea china la testa,
bella come la bella Blanzesmano
allor che cavalcò per la foresta
a fianco a ’l suo Lancialotto sovrano.
Le fronde sotto i piè stridevan forte;
ma a quelle viti ignude aspre e contorte
li occhi chiedevan la dolce esca in vano.
Disse Madonna: — Riposiamo al fine. —
Era lungi un trar d’arco il bel rivaggio.
L’alta erba mareggiava in su ’l confine
placidamente, come biada a maggio;
or sì or no giungea da le colline
di citisi e di timi odor selvaggio.
Pareva il sol d’autunno per le chiare
vie de ’l cielo un novello orbe lunare:
i vapori facean mite il suo raggio.
Ella disse. Non mai le sue parole
da l’arco de la sua bocca rotonda.
E quel sorriso fievole de ’l sole
ancor la testa le facea più bionda.
Era, d’intorno, un grande incantamento.
Era il diletto mio qual d’uom che, lento,
in giaciglio di fiori ampio s’affonda.
Tacque. Uno stuol d’augelli, d’improvviso,
attraversò con ilari saluti.
Noi trasalimmo, come ad un avviso
misterioso de la terra; e, muti,
impallidendo ci guardammo in viso.
Poi prendemmo sentieri sconosciuti.
I pioppi nudi e senza movimento
parevan candelabri alti d’argento
ed i lauri fremean come leuti.