Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'isotteo
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I. Il dolce grappolo2.

III 2.3

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III 2.3

Ella discese allora: un giuramento

fece sicuro il gran patto d’amore.

E prendemmo la china. Senza vento

era l’aria; ne ’l placido candore

erano i campi senza ondeggiamento,

brevi selve di canne erano in fiore.

Quasi una gratitudine beata

a ’l sole offrìa la terra bene amata:

era novembre, il tempo de ’l sopore.

D’innanzi, il Latamon, fiume regale,

lambiva in suo lunante arco i vigneti

ove l’ebro clamor vendemmiale

ed i carmi de’ rustici poeti

salutato avean già l’almo natale

de ’l vino autor di gioia, ora quieti.

Disse Madonna: — Siate accorto e saggio:

quivi incomincia il pio pellegrinaggio.

D’intorno s’inchinarono i canneti.

Io dissi: — Non mi giova la fortuna,

o Madonna Isaotta, ne ’l trovare. —

Ed ella a me: — Non ha virtude alcuna

il fino Amore per v’illuminare?

Il grappolo tardìo dove s’aduna

da lungo tempo, come in alveare,

la dolcezza de ’l miele a ’l lento foco

de ’l sole, aspetta noi per qualche loco. —

Io dissi: — Non mi stanco di cercare. —

Noi camminammo giù per la vermiglia

china che discendeva a l’acque d’oro.

Da lungi a quando a quando una famiglia

di villici sorgendo da ’l lavoro

ci guardava con alta maraviglia;

e le fanciulle interrompeano il coro.

Venendo innanzi con giulivo ardire

una gridò: — Che mai cerchi, o bel sire? —

Ed io risposi a lei: — Cerco un tesoro. —

Noi così camminammo: ella men lesta,

poi che non concedeami anco la mano.

In guardare tenea china la testa,

bella come la bella Blanzesmano

allor che cavalcò per la foresta

a fianco a ’l suo Lancialotto sovrano.

Le fronde sotto i piè stridevan forte;

ma a quelle viti ignude aspre e contorte

li occhi chiedevan la dolce esca in vano.

Disse Madonna: — Riposiamo al fine. —

Era lungi un trar d’arco il bel rivaggio.

L’alta erba mareggiava in su ’l confine

placidamente, come biada a maggio;

or sì or no giungea da le colline

di citisi e di timi odor selvaggio.

Pareva il sol d’autunno per le chiare

vie de ’l cielo un novello orbe lunare:

i vapori facean mite il suo raggio.

Ella disse. Non mai le sue parole

ebber soavità così profonda:

cadevan come languide viole

da l’arco de la sua bocca rotonda.

E quel sorriso fievole de ’l sole

ancor la testa le facea più bionda.

Era, d’intorno, un grande incantamento.

Era il diletto mio qual d’uom che, lento,

in giaciglio di fiori ampio s’affonda.

Tacque. Uno stuol d’augelli, d’improvviso,

attraversò con ilari saluti.

Noi trasalimmo, come ad un avviso

misterioso de la terra; e, muti,

impallidendo ci guardammo in viso.

Poi prendemmo sentieri sconosciuti.

I pioppi nudi e senza movimento

parevan candelabri alti d’argento

ed i lauri fremean come leuti.


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