Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'isotteo
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V. Cantata di Calen d’Aprile 19.

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V. Cantata di Calen d’Aprile 19.

COMPOSTA

IN ONOR D’ISAOTTA

Amore in mezzo a questo ballo stia:

E chi gli è servo, intorno.

E se alcuno ha sospetto o gelosia,

Non faccia qui soggiorno;

Se non, farebbe storno;

Ognun ci s’innamori,

O esca fuor del loco tanto ornato.

Lorenzo De’ Medici

AGVNT ET CANTANT

SALABAETTOVANNOZZO

IPPOLITO

CORO DEI GIOVINI

*

VERDESPINA

ALTEA DALLE TRE GORE

LA DIAMBRA

CORO DELLE GIOVANI

La scena è in un orto vasto, arborato e rigato di acque, e ad austro limitato da un fiume sinuoso. I cantori stanno sulla cima di un monticello, il quale è nel mezzo dell’orto, tutto coperto dalli arcipressi e dalli allori, come nel dialogo del Firenzuola.

Interrompono il verde alquanti aranci vivi, carichi di frutti straordinariamente numerosi, de’ vecchi e de’ nuovi frutti e de’ fiori ancóra.

I paoni, taluni bianchi, posano su’ più alti rami.

Le donne e gli innamorati, in attitudini di grazia, si compongon da principio intorno a Salabaetto, che canta accompagnandosi dolcemente con un ribechino.

Nel corso delle canzoni e de’ cori alterni, le due schiere si aprono, si chiudono, si mescono, si atteggiano in varia guisa; ma seguendo nei moti quasi un ritmo di danza.

SALABAETTO, cantando

Aprile, il damigello,

mette suoi lieti bandi:

Ogni bella inghirlandi

un amador novello. —

Porta in su ’l giustacuore

verde una rosa bianca.

Con atto di signore,

tiene il pugno in su l’anca.

In su la spalla manca

gli posa un vago augello.

Un turcasso gli pende

alli òmeri sonoro;

a tratti a tratti splende

poi ch’è tutto d’avòro.

Ha buona punta d’oro

ed ali ogni quadrello.

È il giovine un gagliardo

arciere, o Verdespina.

Ferita di tal dardo

è ferita divina.

Ei rapì l’arme fina

ad Amor tirannello.

Vien con gentile ardire

questo de’ Vènti figlio,

come un giovine sire

torna da lungo esiglio.

Leva piano un bisbiglio

da presso ogni arboscello.

I cespi rifiorenti

stretta gli fan la via.

Forse, con occhi intenti,

una ninfa lo spia.

Suonano in compagnia

l’arbore ed il ruscello.

Vien con sicuro passo

il banditor per li orti:

gli tintinna il turcasso

in su li òmeri forti.

E pur da’ tronchi morti

rompe qualche ramello.

Udite. Il banditore

gitta suoi lieti bandi.

O messaggio d’Amore,

April, che ne comandi?

Ogni bella inghirlandi

un amador novello. —

CORO DEI GIOVINI

Ogni bella inghirlandi

de le braccia il suo vago.

Ne l’ombra il verde Mago

crea giacigli alti e grandi.

CORO DELLE GIOVANI

Scendiam su ’l dolce lido

ove Diana giacque.

CORO I

Men rapide son l’acque

che il desir vostro infido.

CORO II

Piegare d’erba è lieve

men che dolor d’amante.

CORO I

Bevon l’acqua le piante;

cuor di donna oblìo beve.

CORO II

Amor d’uom troppo vuole.

CORO I

Amor di donna è infido.

I DUE CORI

Scendiam su ’l dolce lido

a cui s’inchina il Sole.

VANNOZZO, cantando

O Sole, i tuoi corsieri

van con narici ardenti

respirando i gran vènti.

Come bianchi e leggeri!

Lor rilascia in su ’l collo

tutte le briglie, e sosta.

Pascan quieti, o Apollo,

giù per la rossa costa

cui vigila composta

la notte in suoi misteri.

L’Ora del giorno estrema

viene a’ cavalli stanchi.

Ben a lor, senza tema,

palpa li ansanti fianchi.

La guatan, fra i crin bianchi,

da li occhi umidi e neri.

Di sue lusinghe l’Ora

cinge li alati mostri.

Indugian quelli ancóra

lungo i vermigli chiostri.

Su, gioite, o amor nostri!

Fiorite, aurei verzieri!

Aprite i freschi rivi,

tutti, o poeti amanti!

I beni fuggitivi,

i fiori, i frutti, e i canti

numerosi, e in stellanti

prata i balli, e i vin mèri,

e in lucidi oricanni

l’acque e l’essenzie rare,

e i preziosi panni

che vengon d’oltremare,

e i sogni seguitare

da morbidi origlieri,

quanti, o poeti, sono

i fuggitivi beni

celebrar con gran suono

giova e con versi pieni.

S’aprano a’ ciel sereni,

come rose, i pensieri!

Apresi in fiamma, come

una rosa, il mio cuore.

Vien nel canto il tuo nome,

Altea da le tre Gore.

O Sole, a farle onore,

arresta i tuoi corsieri!

CORO DEI GIOVINI

Ei fugge. Il sir non ode.

Lo chiami? Egli è lontano.

Tenerlo è disìo vano.

Lodarlo è vana lode.

Uom saggio è sol chi gode.

CORO DELLE GIOVANI

Seguono i Vènti il sire;

che versano da l’ale

un suon limpido eguale

come da lunghe lire.

È dolce cosa udire.

CORO I

Dolce, ma sotto i vasti

alberi che un’iddia

già tenne in signoria

d’amore, a’ giorni fasti.

CORO II

Tu, Delia, con men casti

occhi, a la molle ombrìa,

su l’erba che fiorìa

Endimion guardasti.

CORO I

Nel suo favor benigno

venite, o belle, a ’l folto.

CORO II

Ride, curvo in ascolto,

Il satirel rossigno.

CORO I

Venite, o belle, a ’l clivo

cui l’acqua esile riga.

Me’ che vivuola o giga

canta ogni snello rivo.

CORO II

Me’ che giga o vivuola

canta ogni rivo snello;

ma lesto il satirello

arma la sua tagliuola.

CORO I

È vano il diniegare,

ché dentro arde gran sete.

CORO II

Vano è tender la rete

a chi non vuol calare.

CORO I

Qual s’accende a l’aurora

una rosa non tocca,

tal l’aulorosa bocca

a ’l desir che l’infiora.

CORO II

Qual de la gemma oscura

la verde foglia brilla,

tale da la pupilla

la speme non sicura.

CORO I

O belle, udite, udite

voci che il vespro aduna.

CORO II

I vaghi de la Luna

fan lai ne l’aria mite.

CORO I

Udite gran bisbigli

lungh’essi que’ sentieri.

CORO II

Le ninfe hanno misteri

grandi ne’ lor concigli.

CORO I

È dolce cosa udire.

CORO II

Udire è dolce cosa.

I DUE CORI

Scendiam la china ombrosa.

Giorno, tu non morire!

IPPOLITO, cantando

O Giorno, a la tua morte

il ciel lacrime versa,

lento; e da l’ostro emersa

la Notte apre le porte.

Si piega ella su ’l Giorno

caduto in su’ ginocchi

però che il sangue a torno

da ’l fianco gli trabocchi.

Su le labbra e su li occhi

bacia il finito sire;

gode sentir salire

sotto il bacio la morte.

Quando in su’ novi mai

ardeva la diurna

fiamma, ti sospirai

a lungo, o taciturna.

Bere la pace all’urna

tua vasta era il desìo;

bere il tuo lene oblìo,

sorella de la morte.

Anche a me, da’ supremi

cieli, volgi la faccia.

Li stanchi occhi mi premi;

tutto a ’l gran sen m’allaccia,

sì ch’io fra le tue braccia

oda il tuo tardo cuore,

oda il lontan fragore

de’ fiumi della morte.

CORO DEI GIOVINI

O belle, udite, udite

voci che il vespro aduna.

CORO DELLE GIOVANI

I vaghi de la Luna

fan lai ne l’aria mite.

VERDESPINA, cantando

Io l’amo. Pel ruscello

di sue rime il mio nome

passò fiammando, come

tra perle un carboncello.

Ei si chinò, per bere,

in su l’anima mia;

ei bevve a suo piacere

la vita che n’uscìa.

L’imagine giulìa

rise ne le dolci acque.

O Amor, quanto mi piacque

il volto aperto e bello!

Nel fonte ride ancora,

o Amor, l’imagin bruna.

Passa il vespro e l’aurora,

passa il sole e la luna,

seren passa e fortuna,

senza l’acque mutare.

Il volto mai scompare;

ride sempre novello.

SALABAETTO, cantando

faville, o mia Rima,

poi ch’ella ama l’amante!

Benedici l’istante

quand’io la vidi prima!

Era il giugno. Mi parve

che un baleno io vedessi.

Ridendo ella comparve.

Io nel mio cor la elessi.

Maturava le messi

quel suo rider sereno

che correa qual baleno

a l’alte spiche in cima.

CORO DEI GIOVINI

O belle, udite, udite

voci che il vespro aduna.

CORO DELLE GIOVANI

I vaghi de la Luna

fan lai ne l’aria mite.

ALTEA, cantando

Io l’amo. Agili e fieri

e liberi, i suoi canti

balzaronmi d’innanti

qual torma di levrieri.

Pe’ tuoi di foco, o Amore,

segreti laberinti

il mio trionfatore

portò miei spirti avvinti.

Un serto di giacinti

son que’ suoi ricci neri.

Quando gli fan carezza

l’aure a ’l vivace serto,

scopresi la bianchezza

de ’l collo bianco ed erto.

Ben tu l’avesti certo,

Giove, fra’ tuoi coppieri.

O Giove, da le cene

tue pingui egli discese.

Piacquergli le serene

valli del mio paese.

Io languiva; ei mi tese

la coppa de’ piaceri.

VANNOZZO, cantando

Sgorga da labbro umano

questa voce, in su ’l mondo?

M’inebria il cuor profondo,

come un vin cipriano.

Ben tale ebrezza, o Amore,

vinsemi; e la divina

Altea da le tre Gore

fu del mio cor reina.

Così la Leoncina.

Tu ’l sai, Poliziano!

Cantava mollemente;

recava in man narcissi.

Il grande occhio languente

come luna in eclissi,

di tra’ capei prolissi

quanto era dolce e strano!

Bevean l’onda inchinati

i lauri a ’l suo passaggio.

Rendete e’ cuor furati

ella cantava a Maggio.

E il gonfalon selvaggio

fiorìa ne la sua mano.

CORO DEI GIOVINi

Udite, udite, o belle.

Rendete e’ cuor furati.

CORO DELLE GIOVANI

Si son li amanti armati

per prender le donzelle.

LA DIAMBRA, cantando

O amanti, ancora i lai?

L’amore è un vil tiranno.

Fuggite il triste inganno.

Non amate già mai.

Sopra un albero adorno

splende un frutto e non muta.

Uomini e donne a torno

aspettan la caduta;

guatan con brama acuta,

poi che il velen non sanno.

Fuggite il triste inganno.

Non amate già mai.

Bei mostri a mezzo il mare

tesson vocali ambagi.

Scorgonsi fiammeggiare

ne ’l profondo i palagi.

Ma traggono i malvagi

canti ad oscuro danno.

Fuggite il triste inganno.

Non amate già mai.

Oggi le man leggere

levan alto la coppa;

a l’agili chimere

godon blandir la groppa.

Ahi, per l’angoscia troppa

doman si torceranno!

Fuggite il triste inganno.

Non amate già mai.

Oggi li occhi un giocondo

abbagliamento assale;

ei veggon tutto il mondo

in luce trionfale.

Doman, arsi da ’l sale

de’ pianti, ombra vedranno.

Fuggite il triste inganno.

Non amate già mai.

Oggi cantan le bocche

vicine — Io l’amo, io l’amo —,

quali rose non tocche

in su l’istesso ramo.

Doman, altro richiamo!

Gemiti leveranno.

Fuggite il triste inganno.

Non amate già mai.

CORO DEI GIOVINI

Piacciasi la Diambra

di sue torbide rime.

La Luna è in su le cime,

pallida come l’ambra.

CORO DELLE GIOVANI

Acerba è la Diambra,

però che senza tregua

Ippolito la segua

in van, come Ombrone Ambra.

CORO I

O Ippolito, per lei

April non ha turcasso.

CORO II

Ombron piange su ’l sasso,

ne canti medicèi.

CORO I

Ecco le stelle prime.

CORO II

Le vedi tu, Diambra?

I DUE CORI

Pallida come l’ambra,

la Luna è in su le cime.

IPPOLITO, cantando

O Amor, vile tiranno,

tu non sei sazio mai!

Morte, se chiamerai,

con gioia i servi udranno.

Vider già ne’ dolenti

sogni tua signoria,

videro i fiumi lenti

ove sotto l’ombria

taciti, in compagnia,

al fin discenderanno.

Quivi stagna tra molta

erba l’acqua del Lete.

Chi ne beve una volta,

poi non avrà più sete.

Alti, ne la quiete,

i papaveri stanno.

La cicuta e il solatro

e il giusquïamo bianco

metton ne l’ombra un atro

fiore, un fior tardo e stanco.

Quivi i servi, in su ’l fianco

piagato, giaceranno.

CORO DEI GIOVINI

Altri boschi, altri fiumi,

altri fiori, altri canti!

CORO DELLE GIOVANI

Nuotan li spirti amanti

ne fiumi de’ profumi.

CORO I

O belle, o belle, è l’ora!

CORO II

Gittò il paone un grido!

I DUE CORI

Scendiamo alfin su ’l lido.

Meglio è vespro che aurora.

Le stelle ad una ad una

ridon pel ciel profonde;

e a’ palpiti risponde

Il seno de la Luna.

CORO I, movendo

Luna, qual dolce affanno

metti a ’l cuor de’ rosai?

UNA VOCE, di lontano

Morte, se chiamerai,

con gioia i servi udranno.

CORO II, movendo

Udiam colloqui gai

che l’acque e l’aure fanno.

UNA VOCE, di lontano

Fuggite il triste inganno.

Non amate già mai.

ΤΕΛΟΣ




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