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VI. Ballata delle donne sul fiume 20.
I nitidi mercanti alessandrini,
profumati di cìnnamo e d’issopo,
bevean su la riviera di Canopo
ne’ calici de ’l loto i rosei vini.
Noi lungo il fiume, ove sì dolci istanti
indugiammo cercando per la via
navighiamo a diletto, in compagnia
di musici che il lido empion di canti.
Tutto s’accende il lido fuggitivo
Tu, ridendo, co ’l calice d’un giglio
attingi le bell’acque scintillanti.
La man tua lieve crea schietti rubini.
Le gentildonne, che fan gaia corte
a te con gran sollazzo, in su’ minori
seguon l’esempio e con i bianchi fiori
attingon l’acque d’or, ridendo forte.
Tutte, in un tempo, bevono a ’l lucente
quasi Bacco le linfe abbia cangiate
in vin di Scio, da’ regni de la morte.
Suonano a torno i lieti ribechini.
Così tu vai, piacente Primavera,
navigando ne ’l vespero, per l’almo
e i gigli tratti dietro il paliscalmo
vestono forme, ne la dubbia sera.
Non calano da’ rotti argini forse
Questa, piena di donne e di canzone,
non è l’isola bella di Citera?
Non sei tu dunque iddia ne’ tuoi domini?
Questa è l’isola bella: non la tiene
però Venere. Isotta ha signoria,
vissero a lungo, in tempo assai lontano,
Qui non s’ode Bacchilide cantare,
non Saffo, non Alceo di Mitilene.
Ma s’odono i leuti fiorentini.
O musici, toccate li strumenti
con più dolcezza, poi che a’ lauri in cima
Cantate, o gentildonne, a cui la rima
fiorisce in amorosi allettamenti
a sommo de la bocca picciolella.
Sicché di su l’altura,
udendo suoni e canti a la ventura,
veggendo faci, dicano le genti:
— Torna forse Brisenna a’ suoi festini? —