Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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2 - L'annunzio

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2 - L'annunzio

 

Udite, udite, o figli della terra, udite il grande

annunzio ch'io vi reco sopra il vento palpitante

con la mia bocca forte!

Udite, o agricoltori, alzati nei diritti solchi,

e voi che contro la possa dei giovenchi, o bifolchi,

tendete le corde ritorte

come quelle del suono tese nelle antiche lire,

e voi, femmine possenti in oprare e partorite,

alzate su le porte,

e voi nella luce floridi, e voi nell'ombra curvi,

fanciulli loquaci, vecchi taciturni,

o vita, o morte,

 

uditemi! Udite l'annunziatore di lontano

che reca l'annunzio del prodigio meridiano

onde fu pieno tutto quanto

il cielo nell'ora ardente! V'empirò di meraviglia;

v'infiammerò di gioia; vi trarrò dalle ciglia

il riso e il pianto.

Salirà dai profondi cuori un grido immenso

come quel che improvviso tonò nel silenzio

del giorno santo.

 

Ornate di purpuree bende il giogo oneroso,

delle più fresche erbe gli alari che il fuoco ha róso

nel fervido camino;

sospendete alla trave arida la ghirlanda aulente,

coronate la fronte del toro, il vaso lucente,

la pietra del confino.

La bellezza del mondo sopita si ridesta.

Il mio canto vi chiama a una divina festa.

Nelle vostre rene rudi, ecco, il mio canto versa

un sangue divino.

 

Udite, udite, o figli del Mare, udite il grande

annunzio ch'io vi reco sopra il vento giubilante

con la mia bocca sonora,

nudi nell'ombra cerula delle vele mentre vibra

come nella selva il curvo legno per ogni fibra

da poppa a prora

e il pino dischiomato che per l'alto sal viaggia

pur anco geme in lunghe lacrime la selvaggia

gomma onde il cuor gli odora,

uditemi! Io vi dirò quel che da voi s'attende,

le vostre sorti auguste, la deità che in voi splende

e il Mar che è divino ancóra.

 

Gittate le reti su i giardini del Mare

ove rose voraci s'aprono tra il fluttuare

dell'erbe confuse;

cogliete il ramo vivo nella selva dei coralli

ove fremono eretti gli ippocampi, cavalli

esigui, e le meduse

trapassano in torme leni come in aere nube;

cogliete i fiori equorei, molli come le piume,

dolci come le ciglia chiuse;

 

fioritene ogni albero, fioritene ogni antenna,

il timoniere alla barra, il gabbiere alla penna,

e il piloto che sa i cieli,

e i bracci dell'àncora tenace che sa gli abissi,

e le escubie, occhi della nave aperti e fissi

verso i lontani veli

ove s'asconde l'isola felice o la tempesta!

Il mio canto vi chiama a una divina festa.

La bellezza del mondo sopita si ridesta

come ai sereni.

 

Mentì, mentì la voce dinanzi alle dentate

Echìnadi tonante nella calma d'estate

verso la nave. Il giorno

spegneasi entro quell'acque, fumido; come una pira

ardea Paxo; Achelòo, pensoso di Deianira

e del divelto corno

dalla forza d'Eràcle nell'iterata lotta,

respirava per la sua vasta bocca nel mare e sola

la sua brama era intorno.

O padre fecondatore dei piani, re violento, atroce

sposo, testimonio eterno sei tu. Mentì la voce

che gridò: «Pan è morto!».

 

Ma pieno era il giorno, ma era a sommo del cerchio

il Sole, il maestro dell'opre eccellenti, lo specchio

infaticabile degli umani,

l'amico delle fonti, la chiara faccia, il puro

occhio che vede tutte le cose (udite, udite!); e tutto

il silenzio dei piani

l'adorava offerendo al suo fuoco le messi

altrici delle stirpi, i mietitori genuflessi

dalle consacrate mani,

 

e le falci terribili, e i vasi d'argilla proni

onde l'acqua trasuda, simili alle fronti

madide nella fatica,

tramandati dai padri nella forma immortale,

e i rossi carri aspettanti il peso cereale

fermi presso la bica,

e le chiome delle femmine seguaci, e le criniere

dei cavalli furibondi sotto la sferza crudele

e la schiuma di quel furore, e le preghiere

grandi su l'opra antica.

 

Pieno era il giorno, o figli, era il Sole imminente;

e tutto il silenzio dei mari l'adorava offerendo

al suo fuoco l'aroma

del sale purificante, la felicità dell'onda,

della rupe immobile, dell'alga vagabonda,

della ferrea prora,

il promontorio fulvo come leone in agguato

con proteso l'artiglio, il golfo dominato

dalla città che dolora

nelle sue mura ansiosa, e i vitrei meandri

delle correnti, e i gemmei limitari degli antri

che solo il vento esplora.

 

Tutto era silenzio, luce, forza, desìo.

L'attesa del prodigio gonfiava questo mio

cuore come il cuor del mondo.

Era questa carne mortale impaziente

di risplendere, come se d'un sangue fulgente

l'astro ne rigasse il pondo.

La sostanza del Sole era la mia sostanza.

Erano in me i cieli infiniti, l'abondanza

dei piani, il Mar profondo.

 

E dal culmine dei cieli alle radici del Mare

balenò, risonò la parola solare:

«Il gran Pan non è morto!».

Tremarono le mie vene, i miei capelli, e le selve,

le messi, le acque, le rupi, i fuochi, i fiori, le belve.

«Il gran Pan non è morto

Tutte le creature tremarono come una sola

foglia, come una sola goccia, come una sola

favilla, sotto il lampo e il tuono della parola.

«Il gran Pan non è morto

 

E il terrore sacro si propagò ai confini

dell'Universo. Ma gli uomini non tremarono, chini

sotto le consuete onte.

Tutte le creature udirono la voce

vivente; ma non gli uomini cui l'ombra d'una croce

umiliò la fronte.

Ed io, che l'udii solo, stetti con le tremanti

creature muto. E il dio mi disse: «O tu che canti,

io son l'Eterna Fonte.

Canta le mie laudi eterne». Parvemi ch'io morissi

e ch'io rinascessi. O Morte, o Vita, o Eternità! E dissi:

«Canterò, Signore».

 

Dissi: «Canterò i tuoi mille nomi e le tue membra

innumerevoli, perocché la fiamma e la semenza,

l'alveare ed il gregge,

l'oceano e la luna, la montagna ed il pomo

son le tue membra, Signore; e l'opera dell'uomo

è retta dalla tua legge.

Canterò l'uomo che ara, che naviga, che combatte,

che trae dalla rupe il ferro, dalla mammella il latte,

il suono dalle avene.

 

Canterò la grandezza dei mari e degli eroi,

la guerra delle stirpi, la pazienza dei buoi,

l'antichità del giogo,

l'atto magnifico di colui che intride la farina

e di colui che versa nel vaso l'olio d'oliva

e di colui che accende il fuoco;

perocché i cuori umani, come per un lungo esiglio,

hanno obliato queste tue glorie, Signore, e che il giglio

dei campi è un gaudio eterno». E il dio mi disse:

«O figlio,

canta anche il tuo alloro».

 

 


 


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