Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO PRIMO - MAIA

1 - Laus vitae

XVI.

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XVI.

 

O Vita, o Vita

dono terribile del dio,

come una spada fedele,

come una ruggente face,

come la gorgóna,

come la centàurea veste,

o Vita, assai più crudele

è il canto che nella pace

delle città funeste

s'ode, quando arde il bitume

o splende la selce

sotto il Cane vorace

nelle vie diritte ove passa

il carro che non ha timone

giogo, e non corsieri

splendenti di sangue e di schiume

cui prostesa l'onta soggiace,

ma rapidità senz'acume

che bassa scivola, immune

tra la ferrea fune sospesa

e il duplice ferro seguace.

 

Conosco la ferita

che nella via necessaria

fa la rotaia lucente

agli occhi della tristezza

smarrita per quell'aria atroce,

quando non ha più voce

la bocca convulsa che occlude

la cenere dei sogni

masticata nel fiele

rigurgitante, e dalle nude

mani pare avulsa

l'ugna che sapea ghermire,

e sola nel collo

la caròtide pulsa

come la sbigottita

rondine cui l'infantile

carnefice strappa le piume

di nascosto, e il cuore è frollo

come la carogna vile

che sul bitume

si matura al sole d'agosto.

Ben vi so, torridi giorni,

meriggi funerei,

incontri spaventosi

di cerei vólti disfatti,

via chiusa tra mura di forni,

tacita piazza combusta,

sordo asfalto, lastre roventi

su cui l'ombra angusta

dell'uomo è come bestia

di corte gambe laida e obliqua

che il tacco gli addenti ove il cuoio

rossigno si torce sformato

dall'ignobile passo

consueto. Ombra, ombra del vinto

si trista su le sporche mura,

trista come la menzogna

callosa ond'ei campa e lucra,

trista come il suo vizio

segreto, come il suo rimorso,

come la sua paura,

come la sua vergogna!

 

Manìe, Manìe silenziose,

erranti nell'inferno

della città canicolare,

col passo degli sciacalli

famelici, tra le bucce

lùbriche dei frutti e lo sterco

dei cavalli coperto

d'insetti che hanno il lucore

dell'acciaio azzurrato,

io vi guardai nelle pupille

contratte dal dolore

della luce, vi guardai

negli occhi gialli di sanie

e di cruore vermigli,

su cui palpitavano i cigli

col palpito disperato

che non ha tregua nel sonno

poi che il sonno fu ucciso;

vi guardai fiso aspettando

che vi scagliaste come doghi

a mordermi i pugni e la gola.

 

Imagini del delitto

mostruose intravidi,

torcimenti d'angosce

inumane ma senza gridi,

anime come sacchi flosce,

altre come logori letti

di puttane marce di lue,

altre come piaghe orrende,

fatte informi e nane

dal gran taglio diritto,

simili al combattente

ch'ebbe le due cosce

recise fino all'anguinaia

e tuttavia rimane

mezz'uomo sul suo tronco e cerca

con le dita ancor vive

tra il rosso flutto la radice

di virilità ricacciata

in fondo al ventre, dov'era

prima ch'egli escisse compiuto

maschio dalla matrice.

 

Ma quelle miserie e quei morbi

e quelle follie,

insanabili, al mio male

non eran fraterni

se non per il silenzio

e per la sete,

perché taceano e avean le labbra

della sete mortale.

E cessai di guardare.

Tenni gli occhi inclinati

al riverbero bianco

delle selci, solo

con la mia febbre errabonda.

E quando il ginocchio stanco

sentii flettere e pesarmi

il cuore così che mi parve

quasi dolce cader senz'armi

su l'immonda via qual giumento

che più non vuol trarre le some,

mi fermai nel trivio deserto

e dissi al mio cuore il mio nome.

 

E, in quella guisa che il rude

cacciator nella selva

sonora col sibilo chiama

la muta dei veltri dispersa,

radunai con lo squillo

dell'orgoglio tutte le forze

e le vendette del gentile

mio sangue sul trivio deserto.

E nel vólto febrile

lo sguardo mi ridivenne

gelido e chiaro; l'osso

della mascella fu saldo

e armato per mordere; in tutti

i tèndini il certo vigore

si contrasse, pronto all'assalto.

Guardai il nemico Dolore

con stridor di denti

per scagliarmigli addosso

e stampargli segni cruenti

su la gota pallida. Il cuore

sonò come bronzo percosso.

 

O lastrico accecante,

spigoli crudi dei muri

coperti di rabida lebbra;

consunta pietra di scale,

innanzi le porte sacre

al dio della cenere, dove

il mendicante ostenta

l'ulcera e la man tesa;

cupa finestra ove in attesa

di preda sta la bagascia

spandendo sul davanzale

le sue mammelle come

pasta che lièviti; lenta

discesa dell'ombra

giù dalla statua deforme

che glorifica il demagogo

brutale; o lastrico senz'orme,

oscenità del luogo

publico, lordume del trivio,

per voi conobbi un'ebrezza

amara che non ha l'eguale.

 

Sentii l'odore d'un abisso

invisibile e onnipresente,

il pestifero fiato

d'un gran mare torpente

ma pieno di occulta

ferocia, di vita vorace,

ove la tristezza dell'uomo

era come la nave

dalla prua bene sculta

che con l'elica guasta

è perduta nel polipaio

immenso, nell'immenso

tedio dell'Oceano ardente

sotto il Tropico, e non cammina

ma sussulta, ancor pulsando

l'infermo suo cuore d'acciaio

nella vasta carena,

sinché lentamente

muore nel fetore

della sua sentina

tetro che l'avvelena.

 

Vesperi di primavera,

crepuscoli d'estate,

prime piogge d'autunno

croscianti su l'immondizia

polverosa che nera

fermenta sotto le suola

fendute onde si mostra

il miserevole piede

umano come tòrta

radice di dolore

divelta; rigùrgito crasso

delle cloache nell'ombra

della divina Sera,

tumulto della strada ingombra

ove tutte le fami

e le seti irrompono a gara

d'avidità belluina

per la forza che impera

e partisce i beni col ferro,

da voi sorgere io vidi

non so quale orrida gloria.

 

Gloria delle città

terribili, quando a vespro

s'arrestano le miriadi

possenti dei cavalli

che per tutto il giorno

fremettero nelle vaste

macchine mai stanchi,

e s'accendono i bianchi

globi come pendule lune

tra le attonite file

dei platani lungh'esse

le case mostruose

dalle cento e cento occhiaie,

e i carri su le rotaie

stridono carichi di scòria

umana scintillando

d'una luce più bella

che la luce degli astri,

e ne' cieli rossastri

grandeggiano solitarie

le cupole e le torri!

 

Orrore delle città

terribili, quando su le vie

arse cadono i larghi lembi

violacei della Sera

con un odor molle di morte,

e s'accendono su le porte

delle taverne i fanali

rossi che versano il sangue

luminoso al limitare

ove scoppierà la furente

rissa dopo l'ingiuria,

e i fuochi della lussuria

brillano negli occhi senili

della grigia larva che insegue

per l'ombra la vergine impube

con nel passo malfermo

l'indizio del morbo dorsale,

e il bardassa trae per le scale

già buie il soldato che ride,

e la libidine incide

l'enorme priàpo sul muro!

 

Febbre delle città

terribili, quando il Sole

come un mostro colpito

dal tridente marino

palpita ai limiti delle acque

in una immensità di sangue

e di bile moribondo,

e nel duolo del ciel profondo

la gran piaga persiste

livida di cancrena,

e s'ode la sirena

del vascello che giunge

caldo di più caldi mari,

e s'accendono i fari

su l'alte scogliere,

e le ciurme straniere

si precipitano all'orgia

frenetiche come baccanti,

e il porto suona di canti

di schemi di sfide di colpi

di crapula e d'oro!

 

Sonno delle città

terribili, quando dal fiume

accidioso (ove si stempra

tra la melma e il pattume

la polpa dei suicidi

fosforescente come

su i salsi lidi il viscidume

delle meduse morte)

sorgono le larve diffuse

della caligine tacente

con mille tentacoli molli

che sfiorano tutte le porte

e palpano i miseri e i folli,

il ladro e la venere vaga,

l'ebro dalla bocca amara

l'orfano dall'ossa contorte

assopiti sopra la fogna,

mentre s'amplia e s'arrossa

nei fumi la chiara finestra

del sapiente che indaga

e del poeta che sogna!

 

Alba delle città

terribili, aurora che squilla

con mille trombe di rame

sul silenzio opaco dei tetti

chiamando i dormenti a battaglia,

primo dardo che il Sole scaglia

a fiedere le sfere d'oro

su le cupole ancor notturne

e le cime ardue dei camini

emuli delle torri e le bianche

statue degli archi trionfali,

Speranza volante su ali

recenti come i fiori nati

sotto le rugiade celesti,

passo degli artefici dèsti

all'opere sonoro come

scalpitìo d'esercito grande,

rombo che si spande dai mossi

congegni pel vitreo duomo,

oh Alba, oh risveglio dell'Uomo

eletto al dominio del Mondo!

 

 


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