Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO PRIMO - MAIA

1 - Laus vitae

XXI.

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XXI.

 

Ecco, il mio carme si chiude.

Si placa l'ebrezza dei suoni,

come la sonora dei flutti

danza innumerabile quando

è senza bava di vento

il mare che lento s'imbianca

e per tutto è placida albàsia.

Ecco, venir veggo pel prato

dell'erba il selvaggio silenzio,

a me venire qual cauto

satiro su piede caprino

con occhichiari che sembra

lùcergli tra i cigli tremore

qual di linfe tra colocasia.

Ei fece pur ieri il suo flauto

secondo la norma del dio

tegèo, ma del pollice soffre

per una scheggetta di canna

che vi s'infisse... Ah, mi manda

Teocrito questo silenzio!

O forse la ninfa parrasia?

 

È il solstizio d'oro su i campi

esperii, è il solstizio d'estate.

Si càstrino i bianchi vitelli.

Si tóndano i greggi lanuti.

Si mietano gli orzi e i legumi.

S'apparecchi l'aia e, conciata

con pula e con morchia, si rasi.

Non più pe' forami de' fiari

s'ode rimbombevole coro

ma a pena sottil mormorio,

segno che l'arnie son piene,

colme son di nettare biondo.

Noi le voteremo domani

all'alba, in mondissimi vasi.

Piedi due fa l'ombra dell'uomo

nell'ora sesta. Oh lunghezza

del per oprare e oziare!

Fa ventidue nella prima

ora e nell'undecima. Oh grandi

opere tra l'albe e i meriggi,

ozii tra i meriggi e gli occasi!

 

Natura, mia Madre immortale

che anche tu mi dài vita breve

e immensi disegni mi poni

nel cuore, tu nata la prima,

di te medesima nata,

a tutti comune ma sola

incomunicabile, m'odi.

Io sì grave di sapienza

e di esperienza, di gioia

e di dolore, di amore

e di odio, se in te mi distenda,

ritorno leggero ed ignaro,

mi sento pieghevole e verde

quasi arbusto privo di nodi.

Eccomi su l'erba supino,

col braccio sotto la testa,

col vólto nell'ombra, coi piedi

nel sole. Così mi riposo.

Un sangue infantile m'inonda.

Sento un fresco sonno venire.

Tu proteggi il sonno dei prodi.

 

Io vidi Zagrèo, che i Titani

co' vólti coperti d'argilla

entrati nell'antro segreto

sgozzarono e poi crudelmente

dilacerarono, io vidi

su l'erba il rinato Zagrèo

al soglio del bosco dormire.

Non vidi mai sonno più dolce

né più profondo, o Nutrice.

La sua barba d'oro era fatta

d'ali d'uno sciame splendente

che gli pendea dalla bocca

aperta qual d'arnie forame.

In miel converso era il patire!

Così, così dormir voglio

in te che mi dài signoria

a pacificar mia discordia,

o Persuasiva. Ancor novo

eccomi, ancóra immaturo

e pieno d'occulte potenze,

ancóra nel mio divenire.

 

Ciò che per me fu compiuto,

in verità, lieve cosa

parmi al paragone dell'opra

che dentro mi nasce e si nutre

del misterioso licore.

O mia Madre, in tutte le vene

accresci il mio sangue e l'affina!

E, s'io fossi in crudo supplizio

ed ogni aumento di sangue

mi fosse aumento di pena,

io ti griderei: «Madre, Madre,

moltiplica questo mio sangue

doglioso, perché più mi ferva

l'anima e mi sia più divina!».

Sano mi facesti nel ventre

della incorruttibile donna

che mi portò. Eccomi sano

su l'erba, con muscoli snelli

cuore saldo e fronte capace.

Più ragione v'è nel mio corpo

valido che in ogni dottrina.

 

Tu proteggi il sonno dei prodi.

Ecco, al favor tuo m'abbandono.

Odo il brulichìo del tuo lento

guaime, il tuo fulvo pineto

con gli aghi e le pine far vaghi

accordi, e sonar come sistri

il grande oro tuo frumentario.

Ma odo anche un rombo lontano

che dice: «Son qua, Ulissìde».

Madre, Madre, fa che più forte

e lieto io sia, quando la voce

del dèspota ch'io ben conosco,

che udii tante volte, la maschia

voce nel mio cor solitario

griderà: «Su, svegliati! È l'ora.

Sorgi. Assai dormisti. L'amico

divenuto sei della terra?

Odi il vento. Su! Sciogli! Allarga!

Riprendi il timone e la scotta;

ché necessario è navigare,

vivere non è necessario».

 


 


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