Nella
gran bandiera
che
agitarono i vènti marini
a poppa
della nave guerriera
tutt'armata
di ferro gigante
contra i
ferrei destini,
nella gran
bandiera
di
battaglia e di tempesta
avvolgi il
tuo padre esangue,
coprigli
la bianca testa,
consacragli
il petto forte
con quella
croce raggiante,
o tu,
della purpurea sorte
erede, che
navigavi il Mare,
Giovine,
che assunto dalla Morte
fosti re
nel Mare!
Avvolgi il
tuo padre
nell'insegna
che attese la gloria
sopra le acque
così lungamente;
componilo
sul carro scemato
del bronzo
possente;
dàgli a
scorta mute squadre
che in
arme sognino la vittoria
pel sangue
non vendicato
sul
deserto ardente;
nella luce
dell'Urbe fatale,
nel
silenzio delle scorte
e del tuo
dolor regale,
accompagna
il tuo padre clemente,
o tu che
chiamato dalla Morte
venisti
dal Mare.
Accompagna
il padre
alla tomba
ove già l'avo dorme,
nel tempio
sublime
che alzò
su colonne
di granito
la forza di Roma.
La romba
degli inni austeri
come un
turbine all'ultime cime
rapisca i
tuoi pensieri
nuovi,
oltre la tomba, oltre l'altare.
E i grandi
pensieri
ti
facciano insonne; e Roma
e la sua
Fortuna dalla chioma
terribile ti
facciano insonne,
Giovine,
che assunto dalla Morte
fosti re
nel Mare.
Tu non
dormirai
se il tuo
cuore è degno che lo morda
l'avvoltore
violento;
tu non
dormirai
se de'
tuoi nervi indurati
attorca tu
la corda
per l'arco
che t'è innanzi lento;
tu non
dormirai
se tu oda
la voce dell'Urbe,
sepolcrale
e marina,
non voce
di volubili turbe
ma
d'immutabili fati,
ma
dell'anima eterna latina,
o tu che
chiamato dalla Morte
venisti
dal Mare.
Tu non
dormirai
se degni
sieno i tuoi occhi
di contemplar
l'orizzonte
che il
Quirinal discopre
al
dominatore;
tu non
dormirai
se le tue
mani sien pronte
alle lotte
ed all'opre,
alla spada
ed al martello,
a foggiar
per la tua fronte
un'altra
corona di ferro
col ferro
d'un altro Salvatore
sopra
l'incudine d'un altare,
Giovine,
che assunto dalla Morte
fosti re
nel Mare.
Non
dormimmo noi
nella
notte solenne
quando
passò per l'ombra
d'Italia
il funereo convoglio
che
portava il buono infranto cuore.
Non
dormimmo. Ascoltammo gli eroi
favellare
nella notte ingombra.
Ascoltammo
il fragore
dei carri
nel vento d'estate.
Tremammo.
Più del cordoglio
poterono
le speranze alate.
Per
l'ombra era un fremito di penne.
Lampeggiavano
i monti e le coste.
Gravido di
vita e di morte
anelava il
Mare.
Tremammo
di forza
chiusa e
di volontà raccolta;
fummo ebri
d'un sogno virile.
Sentimmo
nei polsi robusti
ardere la
febbre civile.
Sentimmo
nel suolo profondo
rivivere
gli iddii vetusti.
Ebri di
presagi augusti,
vedemmo
ancóra sul mondo
splendere il
latin sangue gentile.
Ascoltammo
gli indigeti eroi
favellare
nella notte ingombra.
Seguimmo
nell'ombra
infinita
il volo della Morte
lungo il
patrio Mare.
E dicemmo:
«Passa
lungo il
patrio Mare,
Maestà
della Morte!
Alza gli
spirti; fa palpitare
il popolo
che veglia
nella
notte balenante.
Genova ti
saluta
sul suo
golfo magnifica e forte,
coronata
di baleni.
La Spezia
ti saluta,
in vista
dell'Alpe, austera e forte,
coronata
di baleni.
Salutano
il tuo passare
le due
madri delle navi, o Morte,
veglianti
sul Mare.
Più grande
saluto
avesti tu
mai?
Ma, giunta
alla mèta, tu avrai
il saluto
del Sole e di Roma.
E il nuovo
destino, segnato
dal sangue
regio, avrà nella nuova
luce
principio solenne».
Per
l'ombra era un fremito di penne.
Lampeggiavano
i monti e le coste.
E dicemmo:
«O Italia, o Italia,
non ti
vedremo noi su l'alba,
per questo
buon sangue che ti giova,
per la
divina prova
di questa
sacrificale morte,
rifiorir
nel Mare?».
E dicemmo:
«O Italia,
Italia
sonnolente,
alfine ti
svegli
tu dal tuo
sonno vile?
Ahi sì
lungamente
sotto il
sole giaciuta
con
l'obbrobrio senile,
tra le
mani dei vegli
scaltri
che t'han polluta
che di te
han fatto strame
docile
all'ignavia loro
e d'ogni
tuo nobile alloro
una verga
per batter la fame,
non senti
l'odor della morte?
Oh nuova
sul Mare!».
Così noi
dicemmo,
questo
sognammo ascoltando
il fragore
dei carri nel vento
d'estate
per la funebre notte
recanti
alla tomba il re spento,
al
silenzio di Roma, alla pace.
Questo
pregò sotto il firmamento
ingombro
la nostra ansia seguace.
Or chi
sarà l'eroe che attendiamo,
il pastor
della stirpe ferace?
Tendi
l'arco, accendi la face,
o tu che
chiamato dalla Morte
venisti
dal Mare,
Giovine,
che assunto dalla Morte
fosti re
nel Mare!
T'elesse
il Destino
all'alta
impresa combattuta.
Guai se tu
gli manchi!
È
perigliosa l'ora.
Ma tu sai
che il periglio
è la
cintura pe' fianchi
dell'eroe.
Dal sangue vermiglio
fa che
nasca un'aurora!
La fortuna
d'Italia
prese
l'ali sul campo
d'una
battaglia perduta.
Ricòrdati
d'un altro padre
partito
per un più triste esiglio,
Giovine,
che assunto dalla Morte
fosti re
nel Mare.
T'elesse
il Destino.
Ricòrdati del
figliuol vinto
che
cavalcò quel giorno
tra la
Sesia e il Ticino
verso il
bianco maresciallo.
Rifiorì
l'itala primavera
tra i
dolci fiumi; e il re sardo
scese dal
suo cavallo
per
segnare il duro patto.
Tutto fu
nemico intorno.
Egli disse
al suo cuore gagliardo:
«Sopporta,
o cuore, e spera!».
Ricòrdati
di quel ritorno
tu che
chiamato dalla Morte
venisti
dal Mare.
Egli volle
Roma,
egli ebbe
il Campidoglio,
egli ha
pace nel Tempio romano.
Che vorrai
tu sul tuo soglio?
Quale
altura è il tuo segno?
Miri tu
lontano?
È largo
quanto il tuo orgoglio
il gesto
della tua mano?
Sai tu
come sia bello il tuo regno?
Conosci tu
le sue sorgenti
innumerevoli
e la forza
nuova o antica
delle sue correnti?
Ami tu il
suo divino mare,
Giovine,
che assunto dalla Morte
fosti re
nel Mare?
T'elesse
il Destino
all'alta
impresa audace.
Tendi
l'arco, accendi la face,
colpisci,
illumina, eroe latino!
Venera il
lauro, esalta il forte!
Apri alla
nostra virtù le porte
dei
dominii futuri!
Ché, se il
danno e la vergogna duri,
quando
l'ora sia venuta,
tra i
ribelli vedrai da vicino
anche
colui che oggi ti saluta,
o tu che
chiamato dalla Morte
venisti
dal Mare,
Giovine,
che assunto dalla Morte
fosti re
nel Mare.