Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO SECONDO - ELETTRA

4 - Alla memoria di Narciso e di Pilade Bronzetti

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4 - Alla memoria di Narciso e di Pilade Bronzetti

 

Canta, o Verità redimita

di quercia, canta oggi gli eroi

al genio d'Italia che t'ode!

Al popolo ardente di vita

novella tu canta oggi i suoi

leoni, il suo sangue più prode

che corse la gleba feconda!

Tu fa che fiammeggi nell'ode

ciascuna ferita

e lungi la fiamma s'effonda

per tutte le prode,

per tutte le cime,

per tutta la patria sublime

che freme di gloria sepolta!

Canta, o Verità redimita

di quercia, canta oggi gli eroi

al genio d'Italia che ascolta!

 

Ma ascolta dall'ombra dei monti

Trento, l'indomata

figlia cui la corda

non spegne la voce iterata

che chiama che chiama la madre

nell'orror notturno;

e grida: «Ricorda

tu prima dell'altre

glorie la mia gloria

oggi che su l'ardue fronti

dell'Alpe volò la Vittoria

e che l'Adige taciturno

n'ebbe rinnovata

promessa! Ricorda

Castel di Morone, Tre Ponti

con l'Aquila che dal Tifata

piombò sul Volturno».

 

Canta dunque, pria che si parta

la nova speranza da noi

e si spenga il sùbito ardore,

canta dunque il fior degli eroi,

il prode dei prodi

che dorme leggero sul cuore

di Brescia fedele,

e l'emulo del re di Sparta

con i suoi trecento,

con i suoi trecento custodi

che la dolce Campania tiene;

canta oggi la gloria di Trento

per lei consolare in catene

del vano amor del van dolore,

oggi che da mano servile

la sua pura corona è sparta

come fronda vile.

 

Come vil lordura

dal tempio di Roma lo sgherro

spazza quella corona pura

che tesseano, ideal tesoro,

(ancor dunque ai monti si sogna?)

fedeltà più dura del ferro,

speranza più ricca dell'oro.

Giovi ella a crescere lo strame

su cui la frode e la paura

giaccion come buoi

stracchi ruminando menzogna.

Giovi ella a crescere il letame

che impingua l'annosa vergogna.

Ma tu non piangere; tu sogna,

anima chiusa, ancor nei tuoi

monti. È alto il sole sul Fòro.

Cantiamo gli eroi!

 

Non piangere. Aspetta nei monti;

poi che non indarno

nel libero azzurro

sul Gianicolo, alto a cavallo,

sta Colui che udisti a Tiarno

per te su la via sfolgorata

tonare col bronzo.

Ma sogna. Come il bianco alburno

celandosi sotto la scorza

si fa vigor novo del tronco,

nell'anima tua sempre alzata

il sogno convertasi in forza.

Non piangere. Sogna nei monti.

Cantiamo la gesta obliata,

Castel di Morone, Tre Ponti

con l'Aquila che dal Tirata

piombò sul Volturno.

 

Cantiamo la vetta ridente

su l'antico fiume

esperto di strage, la vetta

ridente di giovine sangue.

Oh tumulo grande

che gioiosamente

di sé fece l'alta coorte!

Ciascun combattente

su la sua terribile ebrezza

col sole e con l'aria

sentiva il guardar leonino

del Duce, dell'Onnipresente.

Oh vendemmia di giovinezza

più forte che il vino!

Porpora d'autunno,

porpora di morte

su la dolce di uve Campania!

 

Non piangere, anima di Trento,

la tua calpestata corona.

Dimentica il male, se puoi.

Non fare lamento.

La tua madre non t'abbandona:

ha il cuore profondo.

Passano i Bonturi

e il seguace lor gregge immondo.

Durano gli eroi

eterni nei fasti

d'Italia, e quel Dante che alzasti

nel bronzo, al conspetto dell'Alpe

dura solo più che le rupi,

gran Mésso dei fati venturi

signore del Canto sul mondo.

Passano i Bonturi

e il seguace lor gregge immondo.

 

Non fare lamento. Perdona

pel lungo martirio di Dante,

perdona pel chiuso dolore

di Quegli che disse la grande

parola. Sovvienti? Ei ti vide

perduta, ei vide tanto sangue

invano sparso, tanto fiore

di libere vite

invano reciso,

Trieste come te perduta,

come te perduta

l'Istria, alla mercé del nemico

le porte d'Italia, ottenuta

Venezia con man di mendico,

laggiù laggiù sola su l'Adria

la macchia di Lissa, l'infamia,

tutta l'onta; e disse: «Obbedisco».

 

Ah ti sovvenga! Ti sovvenga

ancóra di Lui doloroso,

col piombo nell'ossa dolenti,

combusto dal fuoco

di cento battaglie e pensoso

già del vasto rogo

che alzato ei volea sul selvaggio

granito, al conspetto del mare,

per dar la sua cenere ai vènti

del suo mar selvaggio.

Ei disse: «Ah ch'io venga

ch'io venga anche all'ultima guerra!

Legatemi sul mio cavallo.

Ch'io veda brillare le stelle

su la Verruca, oda al Quarnaro

cantare i marinai d'Italia!

Legatemi sul mio cavallo».

 

Verrà, verrà sul suo cavallo,

con giovine chioma.

Torrà il nero e giallo

vessillo dal suo sacro monte

che serba il vestigio di Roma.

Ridere su l'antica fronte

vedrà le sue vergini stelle;

più oltre, più oltre

verso le marine sorelle,

anche udrà anche udrà nel Quarnaro

i canti d'Italia sul vento.

Non piangere, anima di Trento,

la tua calpestata corona.

Ribeviti il tuo pianto amaro.

Dimentica il male, se puoi.

Non fare lamento. Perdona.

Prepara in silenzio gli eroi.

 

 

 


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