Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO SECONDO - ELETTRA

5 - Per i marinai d'Italia morti in Cina

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5 - Per i marinai d'Italia morti in Cina

 

Chi ti vide col suo cuore

puro, o Italia liberata,

detersa dal sangue e dal pianto,

dalla polve e dal sudore,

dopo l'alta gesta, alzata

nel mare nel sole nel canto?

 

Chi ti vide, dopo l'alta

gesta, vivere nel mare

col grande tuo corpo fecondo?

Chi sentì nella tua calda

giovinezza palpitare

l'antica speranza del mondo?

 

Forse i figli, forse i figli

tuoi migliori, i marinai

su l'acque remote, nei porti

strani, gli umili tuoi figli

che non sairivedrai,

ti videro e caddero morti.

 

Ah ti videro più bella

essi, i tuoi semplici eroi,

negli ultimi palpiti sacri!

Canterò oggi, per quella

tua bellezza, se tu m'odi,

il pianto di tutte le madri.

 

Ecco, una madre nell'antica Ichnusa

dei pastori, nell'isola diserta

che stampa sul Tirreno dalla Nurra

al Campidano sua durabile orma,

ecco, la madre che filò la nera

e bianca lana, ecco, la madre a sera

vien su la soglia con la nuora pregna,

quando le greggi tornan di pastura.

Sta su la soglia con la nuora, e conta

le stelle prime nell'aria serena,

nell'aria dolce ove il colmigno fuma;

e sta con nel suo cor la sua preghiera;

e guarda sopra i gioghi di Gallura

la falce della luna che tramonta.

E guarda verso il mare la Caprera

ove dorme il Leone in sepoltura

con un respiro che solleva l'onda;

e guarda l'ombra della Maddalena,

sul dolce mare un'ombra di guerriera

che tutta armata a guerreggiare è pronta.

E prega, ignara della sua sciagura,

e prega e dice: «Chi me l'assicura?

Tu, Vergine Maria, Vergine pura,

tu guardalo dal male e tu l'aiuta!

T'accenderò quant'io potrò di cera,

quant'io potrò d'oliva, se sventura

non gli accade, se salvo mi ritorna.

Guardalo, Vergine, alla madre sua,

guardalo alla sua madre e alla sua donna.

Dov'è, dov'è? Che fa egli a quest'ora,

il buono figliuol mio, mentre che annotta?

Lo rivedemmo ch'era primavera.

La rondine non era anco venuta.

Giunse improvviso, giunsemi alla porta

gridando: «O madre, o madre, apri la porta!».

Eri al telaio sotto la lucerna...».

A lungo a lungo ella così racconta

al cuore che ben sa, che ben ricorda,

che ben ricorda ch'era primavera.

Così racconta la madre canuta;

e guarda sopra i gioghi di Gallura

la falce della luna che tramonta;

e guarda verso il mare la Caprera

ove dorme il Leone in sepoltura

con un respiro che solleva l'onda.

E un'altra madre viene su la soglia

d'un'altra casa e guarda un'altra altura

e un altro mare, il mar di Siracusa

e l'Etna grande che nell'ombra fuma;

e prega in cuore e dice: «O creatura

del sangue mio, quando ti rivedrò?».

Odorano le selve alla riviera

con frutta d'oro; cantano alla luna

le ciurme prima ch'ella si nasconda:

trema la rete, palpita la vela.

E un'altra madre viene su la soglia

d'un'altra casa, nella remota

Italia, sul Garda ove Peschiera

sorge custode nella sua cintura

forte, ove il Mincio memore saluta

i campi di battaglia. E un'altra ancóra

prega in silenzio e guarda la pianura

tra l'Oglio e l'Adda ove la primavera

fu cerula di molto lino. E ancóra

un'altra prega dalla pampinosa

rama dei Monti d'Alba, dalla volsca

Velletri che disotto le sue mura

vide un mattino tempestar fra l'onda

dei cavalli il Leone ebro di Roma.

E un'altra ancóra sta su la picena

spiaggia, di dal Tronto, e si ricorda

del bel naviglio che la prima volta

portò il fanciullo a Spàlato, a Gravosa,

a Sebenico, alla latina sponda

cui San Marco legò la sua galera

e prega in cuore e dice: «O creatura

delle mie pene, non ti rivedrò?».

penano le madri in su la sera

al novilunio, alla dolce frescura.

E non, di qua dal Tronto, nella terra

d'Abruzzi, nella terra ove riposano

i miei maggiori con la rugginosa

àncora di speranza e di fortuna,

non prega qualche madre per ventura

guardando su la placida Maiella

tramontare la falce della luna?

Guarda greggi passare ad una ad una

lungh'esso il lito andando alla pianura

dell'Apulia, ai lor paschi, dall'altura

del Sannio che laggiù si fa nevosa;

migrar le greggi per la via saputa

dai primi avi la madre guarda, muta

presso la casa ove restò la cuna

antica per la nova genitura,

la madre veneranda cui virtù

di nostra prima gente in grembo dura;

e prega in cuore e dice: «O creatura,

creatura, che fai mentre che annotta?

Se sei grondante, ora chi ti rasciuga?

Forse hai tu sete, e la vigna ha tanta uva!

Figlio, che fai? Pensi alla madre tua?

Pensi alla madre tua che non t'aiuta?».

E guarda pel sentiere che s'oscura,

e il cor le stringe sùbita paura.

Tramontata è la falce della luna;

nell'ombra intorno altro non v'è che luca

se non il ferro pronto all'aratura.

È il mésso quei che per l'erta s'indugia?

Gran silenzio negli alberi s'aduna.

La madre ascolta, non respira più.

S'ode il campano in lontananza ancóra,

della greggia che valica la duna;

s'ode il passo per l'erta che s'oscura.

La madre attende, non palpita più.

 

Morti sono i figli, morti

sono i figli, morti sono

i figli alla guerra lontana.

Pochi erano contro molti.

Essi avean pel suolo ignoto

lasciata la nave lontana.

 

Morti come sopra il ponte

della nave, come sanno

marinai dovunque morire.

Non il fiume, non il monte,

non il piano, essi non hanno

veduto la casa e il confine.

 

Veduto non han Gallura

né il Mar Ligure né l'Adria

morendo su l'orride porte,

ma veduto han la figura

grande e sola della Patria

risplendere sopra la morte.

 

Veduto non hanno i Monti

d'Alba o l'Etna, non Peschiera

né il Garda, ma l'unica Italia.

Morti sono i figli, morti

sono intorno alla bandiera

d'Italia d'Italia d'Italia.

 

 

 


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