Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO SECONDO - ELETTRA

8 - La notte di Caprera

II.

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II.

 

Ancóra dorme la città che ululò

d'amor selvaggio all'apparito Eroe

nel bel settembre. Emmanuele dorme

nella reggia ove tanto tremò

l'erede esangue di Ferdinando. Implora

Dominedio Francesco di Borbone

chiuso in Gaeta con la sua fulva donna,

con l'aquiletta bavara che rampogna.

«Calatafimi! MarsalaChiama a nome

i suoi cavalli di guerra il Dittatore,

novo nell'alba, gli arabi suoi sul ponte

recalcitranti al vento che riscuote

il Golfo. Palpa le lor criniere ondose

che sanno ancor d'arsiccio, le lor froge

palpa, e le labbra frenate onde fioccò

la spuma come neve su i moribondi.

Ed ei li pensa lungi, franchi del morso,

per le ferrigne rupi; e dice: «Anche a voi

la libertà!». Quella divina voce

odono i due cavalli che hanno i nomi

delle Vittorie e lui guatan con occhi

di fanciul!i, ecco, obbedienti. Sorge

l'aurora. È pronta la nave. Il Dittatore

delle tempeste grida: «Salpa!». L'alta onda

del dominato Oceano gli torna

nella memoria e nella voce. Scioglie

l'ultimo capo dell'ormeggio allor con

atto che par santo al devoto stuolo.

L'anima già per l'acque si diffonde

simile al . Ripete ei la parola

che consolò i suoi laceri prodi:

«A Roma, a Roma ci rivedremo! A Roma!».

Bello non è come il raggiante vólto

del donator di regni il novo Sole.

 


 


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