Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO SECONDO - ELETTRA

8 - La notte di Caprera

XI.

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XI.

 

O Verità cinta di quercia, quando

canterai tu per i figli d'Italia,

quando per tutti gli uomini canterai

tu questo canto? Ecco il pane spezzato

sotto l'olivo, prima della battaglia;

ecco irto d'armi il colle di sì grande

nome, nomato il Pianto dei Romani,

aspro di sette cerchi, balzo di Dante,

per ove gridan come stuol di selvagge

aquile sette Vittorie disperate;

Alcamo in festa, Partinico fumante;

l'avida sosta della falange, al Passo

di Renna, in vista della Conca e del Mare;

la sete, la fame; la corsa verso Parco

nella tempesta e nella notte, inganno

meraviglioso; la montagna affocata

di Gibilrossa ove ecco ogni uomo par

che trasfiguri come se oda parlare

una divina voce alla sua speranza;

e la discesa muta di sasso in sasso,

per gli arsi aromi, lungo le schegge calde,

mentre la sera coi richiami lontani

de' suoi pastori e coi suoi flauti fa

la melodìa dell'obliata pace;

e poi la notte vigile di fatali

stelle; e poi l'alba, e nell'alba il tonante

impeto, l'urto, la furibonda strage,

l'inferno al ponte dell'Ammiraglio; il maschio

Nullo a cavallo oltre la barricata

con la sua rossa torma, ferino e umano

eroe, gran torso inserto nella vasta

groppa, centàurea possa, erto su la vampa

come in un vol di criniere; il grifagno

Bixio, il risorto Giovanni delle Bande

Nere, temprato animato metallo,

voce a saetta, sottil viso che sa

la cote come il filo d'una spada

laboriosa, ossuta fronte salda

come l'ariete che dirocca muraglie,

eccolo all'opra che balza da cavallo

per trarsi il piombo con le sue stesse mani

fuor delle fibre tenaci; ecco espugnata

la Porta, data la rotta alle masnade

regie col ferro alle reni; le strade

ancor nell'ombra, deserte; la città

ancor dormente, e la prima campana

che suona a stormo verso l'aurora alzata

su Gibilrossa; Fieravecchia che batte

già colma come un cuor che si rinsangua;

Macqueda sotto la grandine mortale;

Montalto ai regi tolto dallo spettrale

Sirtori; atroci strida, crollar di case,

rossor d'incendii; la morte che s'ammassa

nella ruina; l'afa delle carni arse,

il cielo azzurro su l'urlante fornace;

e il Dittatore terribile che passa,

il Dittatore sorridente con pace

tra quel delirio umano, il dio che guarda,

indubitata forza, con nella faccia

il sole, il sole del sorriso eternale.

Gloria per sempre! Ecco Palermo schiava

che si risveglia giovine tra le fiamme,

che si solleva, memore della Gancia,

nella vendetta e nella libertà.

 

 


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