Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO SECONDO - ELETTRA

8 - La notte di Caprera

XVI.

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XVI.

 

O Verità cinta di quercia, quando

canterai tu per i figli d'Italia,

quando per tutti gli uomini canterai

tu questo canto? L'umano alito mai

più grandemente magnificò la carne

misera; mai con émpito più grande

l'anima pura vinse il carcame ignavo.

L'onta dell'uomo, il corpo che si lagna

e trema, che ha sonno, che ha sete fame

paura, che ha orrore del suo sangue

e delle sue viscere, che si salva,

si cela, fugge, cade, invoca pietà,

prega soccorso, per soffrire si giace

e per morire chiude gli occhi, la salma

pesante opaca e fragile, la carne

misera e impura, l'onta dell'uomo schiavo,

veduta fu sùbito trasmutarsi,

al nomar d'un nome, in una sostanza

novella, armata d'una vita tenace

e numerosa come di germinanti

membra e di vene perenni, inebriata

di strage come di allegrezza, agitata

con risa e grida se molto era la piaga

vasta, se orrenda era, come si squassa

una bandiera superba a rincuorare

stanchi e codardi. Cantami, o Verità

cinta di quercia, cantami questo canto!

Eccoti innanzi le donne, ecco i vegliardi,

ecco i fanciulli: le donne senza pianto,

senza vecchiezza i vegliardi, a mortale

gioco i fanciulli con la morte che passa;

ecco guidato a suon di trombe il ballo

dal buon Manara sotto il colle tonante;

ecco il Masina, con la sua schiera franca

di cavalieri bolognesi, l'uom d'arme

e di piacere, ardentissima spada,

gioioso a mensa come in campo, che già

tinto in vermiglio ritorna al quarto assalto

per la Corsina e sprona il suo cavallo

su la scalèa, gli ferocia ed ali,

colpito in petto non fa mottolai,

vuota la sella, stramazza, con le braccia

aperte e il ventre prono sul sasso sta;

ed ecco i suoi già pronti a dargli bagno

di grana e coltre di porpora, le lame

battute a freddo, le lance di Romagna,

che per ammenda di Velletri han pagato

un fiero scotto, eccoli tempestare

su l'atterrato per trar dalla battaglia

il corpo e dargli sepoltura, gli eguali

dei belli Achei corazzati di rame

sul corpo di Patroclo nato dal

cielo, del caro al Pelìde compagno;

mentre dardeggia la voce del grifagno

Bixio ferito di piombo all'anguinaglia,

voce di scherno, che fischia sfonda e taglia

come la spada che tronca gli è rimasta

nel pugno; e il fabro d'inni Mameli, il vate

soave come Simonide ceo, ma

più puro che l'ospite di Tessaglia,

guerreggiatore laureato, sul franto

ginocchio cade sorridendo; e di vasta

anima un altro artefice, il lombardo

Induno, alfine cade, giace forato

come selvaggio bugno e per tanti varchi

non la sua vasta anima ma inganna

la morte, due volte fatto immortale.

Ecco il Bronzetti, ad altri campi sacro,

ad altro antico esempio, che il suo caro

non abbandona già sotto le calcagna

nemiche ma l'ardire e la pietà

di Niso ingenuo innova; ecco il toscano

Masi, il Sampieri veneto, ecco il lombardo

Vismara, il Bacci piceno, l'apuano

Giorgieri, duci e gregarii, il romano

Spada, e Fulgenzio Fabrizi umbro ammirando

al Ponte Milvio, e il conte ravennate

Loreta, e il buon Savoia mantovano,

e il buon Maestri, il monco, il mutilato

di Morazzone, e quel gentil Montaldi

già cacciatore al Salto e capitano

che navigando laggiù pel guerreggiato

fiume fu solo ed ebbe cento braccia

a sostener con l'arme l'arrembaggio;

ecco l'Anceo, il Silva, il Rodi, il Sacchi,

il pro' Daverio, il Mellara, gli Strambio,

il più bel fiore del sangue di Romagna

e di Liguria e d'Umbria e di Toscana,

d'ogni contrada, figli della montagna,

figli del piano, figli del litorale,

della città e del borgo selvaggio,

il più bel fiore fiorito dalle madri

nel vaticinio della gesta fatale,

speranza e forza della profonda Italia,

speranza che arde e forza che combatte,

dolor che ride e giubilo che assale,

solenne ebrezza, funebre voluttà,

il più bel fiore fiorito dalle madri

potenti come la terra che bagna

il fiammeo flutto ond'è converso il latte

robusto dato con compagnia di canti;

e il Morosini, e i Dandolo, sonanti

nomi nel bronzo della gloria navale,

stirpe di dogi, sangue republicano

che tinse già di suo colore i fianchi

delle galere, il Mare Nostro, Candia,

la Morea, Nasso, in cento assedii, e i sacri

marmi d'Atene e l'oro di Bisanzio,

spoglie del Mondo offerte alla Città.

 

 


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