Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO SECONDO - ELETTRA

8 - La notte di Caprera

XIX.

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XIX.

 

Con gli occhi fissi interroga il Destino

il Dittatore. Arde tra le apparite

stragi, nel grido dei magnanimi figli.

Arde, in silenzio, della sua febbre antica.

E la grandezza di ciò che fu compito

s'alza e sovrasta alla notte sublime.

«Ah non invano! Ah non invanodice

la sua speranza. «Non invano moriste,

o dolci figli, latin sangue gentile!

Altra rugiada aspettan le gramigne

dell'Agro, e avranno altra rugiada, prima

che sorga l'alba della novella vita.

O Madre, e quel che ti daremo vinca

di santità quello che t'offerimmo.

Pur t'offerimmo quel ch'era in noi divino

Ed ecco ei tende la mano, come chi

promette, ei tende la mano che spartiva

le sue semente con la saggezza antica,

la man che già seminò, che al mattino

seminerà dove fu il granito.

Per testimone ha l'anima sua. Dice:

«Verrò, verrò. donde mi partii

ritornerò». La trista dipartita

ripensa: il luglio torrido; le milizie

raccolte in piazza, mute sotto il meriggio

muto, al conspetto del Vaticano inviso,

come le statue dei portici; il sorriso

che gli sgorgò dai precordii alla vista

della coorte adolescente; Iddio

nei cieli azzurri, il silenzio infinito,

l'orazion piccola «Io offro a chi

mi vuol seguire fame sete fatiche

combattimenti e morte»; poi l'uscita

da San Giovanni, tutto il popolo afflitto

che lacrimava e le Trasteverine

accorse in gara che spargevano i gigli

sotto il cavallo dell'eroina Anita

a San Giovanni, il sordo calpestio

in notte chiara su la Via Tiburtina

con la grande ombra di Roma che seguiva

i legionarii, la sosta su la cima

nuda, l'estremo sguardo, l'estremo addio

alla Città già in mano del nemico;

e poi la corsa di confine in confine

per monti e valli, l'arrivo a San Marino,

al bel Titano, con la sua schiera esigua

sfuggita a quattro eserciti, la fine

dell'alta guerra, il Mare, l'accanito

inseguimento per le selvagge rive,

per le paludi febbrose, l'agonia

della sua donna sotto il sole maligno,

il disperato remeggio verso il lido

di Chiassi, il dolce corpo su l'erbe arsicce

morente, poi l'abbandono improvviso

sopra la Costa di Paviero, il supplizio

feroce, il caro corpo non seppellito

nella calura lùgubre l'infierire

di tutti i mali contro l'anima invitta.

«O Madre, e quel che ti daremo vinca

di santità quello che t'offerimmo»

dice l'Eroe che seppe ben patire.

Per testimone ha l'anima sua. Dice:

«Verrò, verrò. donde mi partii

ritornerò, Madre, per ben morire».

 

 


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