Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Laudi
Lettura del testo

LIBRO SECONDO - ELETTRA

11 - Per la morte di Giuseppe Verdi

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

11 - Per la morte di Giuseppe Verdi

 

Si chinaron su lui tre vaste fronti

terribili, col pondo

degli eterni pensieri e del dolore:

Dante Alighieri che sorresse il mondo

in suo pugno ed i fonti

dell'universa vita ebbe in suo cuore;

Leonardo, signore

di verità, re dei dominii oscuri,

fissa pupilla a' rai de' Soli ignoti;

il ferreo Buonarroti

che animò del suo gran disdegno in duri

massi gli imperituri

figli, i ribelli eroi

silenziosi onde il Destino è vinto.

Vegliato fu da' suoi

fratelli antichi il creatore estinto.

 

Come la nube, quando è spento il Sole

dietro le opache cime,

di fulgore durabile s'arrossa:

contro all'ombre notturne arde sublime

la titanica mole

e la notte non ha contro a lei possa:

così dalle affrante ossa

l'anima alzata contrastò la Morte,

avverso il buio perdurò splendente.

Dinanzi alla veggente

tutte aperte rimasero le porte

del Mistero, e la sorte

umana fu sospesa

su l'alte soglie ove la Forza trema.

Sul rombo, nell'attesa,

allor sonò la melodìa suprema.

 

La melodìa suprema della Patria

in un immenso coro

di popoli salì verso il defunto.

Infinita, dal Brènnero al Peloro

e dal Cìmino al Catria,

accompagnò nei cieli il figlio assunto.

E colui, che congiunto

in terra avea con la virtù de' suoni

tutti gli spirti per la santa guerra,

pur li congiunse in terra

col suo silenzio funerale e proni

li fece innanzi ai troni

ed ai vetusti altari

ove l'Italia fu regina e iddia.

Canzon, per i tre mari

vola dal cuor che spera e non oblìa!

 

E «Ti sovvenga!» sia la tua parola.

Vegliato fu da' suoi

fratelli antichi il creator che dorme.

E simile alle fronti degli eroi

era la fronte, sola

e pura come giogo alpestro, enorme.

E profonde eran l'orme

impresse dal suo piè nella materna

zolla, profonde al pari delle antiche;

e l'alte sue fatiche

erano intese ad una gioia eterna;

e come l'onda alterna

dei mari fu il suo canto

intorno al mondo, per le genti umane.

E noi, nell'ardor santo,

ci nutrimmo di lui come del pane.

 

Ci nutrimmo di lui come dell'aria

libera ed infinita

cui la terra tutti i suoi sapori.

La bellezza e la forza di sua vita,

che parve solitaria,

furon come su noi cieli canori.

Egli trasse i suoi cori

dall'imo gorgo dell'ansante folla.

Diede una voce alle speranze e ai lutti.

Pianse ed amò per tutti.

Fu come l'aura, fu come la polla.

Ma, nato dalla zolla,

dalla madre dei buoi

forti e dell'ampie querci e del frumento,

nel bronzo degli eroi

foggiò sé stesso il creatore spento.

 

E disse l'Alighieri in tra gli eguali

nella funebre notte:

«O gloria dei Latin', come tramonti!».

Quivi bianche parean dalle incorrotte

spoglie grandeggiar le ali

sotto la fiamma delle vaste fronti.

E Dante disse: «O fonti

della divina melodia richiusi

in lui per sempre, che tutti li aperse!

Ecco quei che s'aderse,

su la sua gloria, in cieli più diffusi

e agli uomini confusi

parve subitamente

artefice maggior della sua gloria.

O natura possente,

non conoscemmo noi questa vittoria!».

 

E Leonardo: «Innanzi ebb'io la nuda

faccia del Mondo immensa,

come quella dell'Uom che a dentro incisi.

Creai la luce in Cristo su la mensa

e creai l'ombra in Giuda.

Dell'Infinito feci i miei sorrisi.

Poi, nel vespro, m'assisi

calmo alla sommità della saggezza

ed ascoltai la musica solenne.

Per quali vie convenne

meco quest'aspra forza a tale altezza?

Come questa vecchiezza

semplice e sola attinse

il culmine ove regna il mio pensiero?

Fratello m'è chi vinse

il suo fato e tentò novo sentiero».

 

E il Buonarroti disse: «Io prima oscuro,

per opra più perfetta

rinascere, di me nacqui modello.

Poi mi scolpii nella virtù concetta,

come nel marmo puro

s'adempion le promesse del martello.

E posi me suggello

violento sul secolo carnale

di grandi cose moribonde carco.

Irato apersi un varco

nelle rupi all'esercito immortale

degli eroi sopra il Male

vindici; senza pace,

stirpe insonne, anelammo all'alto segno.

Ben costui che or si giace

tal cuore ebbe, s'armò di tal disdegno».

 

Nella notte così gli eterni spirti

riconobbero il Grande

cui sceso era pe' tempi il lor retaggio.

Il titano giacea senza ghirlande,

senza laurimirti,

sol coronato del suo crin selvaggio.

E, come il primo raggio

dell'alba fu, la maggior voce disse:

«O patria, degna di trionfal fama!».

E parve che una brama

di rinnovanza dalla terra escisse,

e che le zolle scisse

dai vomeri altro seme

chiedessero a novel seminatore,

e che l'onte supreme

vendicasse la forza del dolore.

 

Canzon, per i tre mari

vola dal cuor che spera oltre il destino,

recando il buon messaggio a chi l'aspetta.

Aquila giovinetta,

batti le penne su per l'Apennino;

per l'aere latino

rapidamente vola,

poi discendi con impeto nei piani

sacri ove Roma è sola,

getta il più fiero grido e rimani.

 

 

 


«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL