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Foreste su i monti, chiome fragorose
all'aquilone,
che affoca il foco dei tramonti;
che vi s'immerse;
monili più gravi che quelli di Serse
voluttà della Terra, o fronde,
gioia di tutti,
portento dell'Acqua e del Sole,
ecco, ora nati, ora distrutti,
chi mai si duole
quale corda piange vostri dolci lutti?
i ramicelli,
si farà di miele nelle polpe bionde.
in cui la mente
Madre e trasfigurò la vita
di sé mutamente
ma il mondo creato sopra la Natura,
ove con un gesto l'uom si fe' signore
del Fato e congiunse la sua forza antica
o Poeti, la misura degli Eroi,
il vertice del Pensiero e del Mistero,
il segno visibile dell'Immortale
Perisce e non si rinnovella.
Da noi si diparte; non avrà ritorno.
S'oscura per sempre nella notte eguale.
Fronde fiori frutti nel sereno giorno
rivedremo noi,
la giovine Terra, la sua genitura,
e non l'infinita creatura bella!
per la luce che non è più,
per la gioia che non è più.
Menomato è l'orgoglio delle sorgenti.
d'un dio che parlò nel silenzio degli evi,
bianchissimo sopra le nevi,
meravigliose della giovine Terra,
sopra la guerra,
alla meraviglia che non rivivrà.
Culmine delle speranze sovrumane
precinta isola dal dolore infinito,
solitudine dell'abisso,
della Bellezza, ebbe Egli un nome per voi?
con me, mi ha alzato contro le sue calcagna»
parlava ai suoi il signore del Convito;
e il pane azzimo involto nell'erbe amare
eragli innanzi, e la tristezza era immensa.
«In verità vi dico: quegli che bagna
la mano insieme a me nel piatto,
quegli mi tradirà.» E la man nell'atto
Egli, il Galileo? Ben le udiste
sino alla morte?
Egli, e il giorno degli azzimi era
quello che risplendea dietro la sua testa?
per la fiamma che non è più,
per la gloria che non è più!
Era l'eterna primavera, la festa
d'ogni ritorno;
ed Egli era nel silenzio suo profondo
solo col cuor del mondo e con la sua sorte;
e gli uomini schiavi e tardi erangli intorno.
«Dove io vo, tu non puoi seguirmi».
Ah queste udimmo noi, fratelli,
che sonarono verso tutte le cime
terribili, al nembo ed al sole,
per l'erte cui il sogno sublime
impresse vestigi che furon suggelli.
«Dove io vo, tu non puoi seguirmi.»
per noi; non lontanar dietro le sue chiome
vedemmo la rupe di Scizia o il Calvario;
non vedemmo la croce, né l'avvoltore.
Ma, solitario
tra la sua gente, era Egli sopra il dolore
Colui che annuncia che rivela e che inizia;
ed eglino erano gli schiavi
che non veggono e che non sanno,
schiavi eterni della forza e dell'inganno;
lene, che soleva adagiarglisi al petto
invincibile, il suo diletto
reclinato, l'anima dalle soavi
labbra, quel sorriso che parve
quasi il minor fratello del suo dolore,
Ed Egli era solo, il gran cuore
come in diamante.
E non eravi per lui padre né figlio,
«Ah, chi mai lo consolerà?»
«Chi consolerà
Colui ch'ebbe a sé testimoni
le sorgenti dei Fiumi, il riso
innumerevole delle onde marine,
la madre di tutte le cose, la Terra?
Chi mai lo consolerà nel dì supremo?
dal sale del mare e del pianto
delle sue mani e nell'ombra de' suoi cigli:
«Non han le case degli uomini giacigli
per l'insonne, dov'egli giacersi voglia.
Non io m'arresto alla tua soglia.
Dove io vo, tu non puoi seguirmi.
La mia certezza canta nel mio sentiero
trionfali sul limite degli abissi.
È il mio pensiero più che il giorno e il domani.
So come sia dolce grappoli vermigli
so come sia dolce una foglia, e la gola
della colomba. Ma beni più lontani
cerco, e il silenzio. Non della mia parola
io m'inebrio, ma di quel che mai non dissi».
O puro Eroe, inalzato sopra il tempo
o segno visibile dell'Immortale,
che diviso t'è innanzi? Che vale il manto
che ti traveste, e il nome che ti fa santo
e lo stuolo inquieto che ti circonda?
Ben lungi sei tu dall'altare frequente.
tu sei a te stesso il tuo tempio.
verità del suo spirto, dal più bello
ardore della sua mente quel segreto
artefice che volle foggiarsi le ale
A similitudine di sé ti volle
quegli ch'ebbe in sé la radice
ed il fiore della volontà perfetta
con tutto il travaglio del mare
e tutte le geniture della terra
e le virtù dei saggi e degli antichi iddii
e i gèrmini senza forma e senza nome,
le semenze delle bellezze future.
A similitudine di sé ti fece
quel Prometèo meditabondo
che immune fu dal supplizio, rapitore
inviolabile, modello del Mondo.
E tu vivesti, inspirato dal più forte
alito della sua bocca che nutrita
s'era alla plenitudine della vita
e della morte.
ultima della Conoscenza,
di respirarvi, imperiale
come il sire della vita e della morte,
sì lungi agli uomini e pur sì presso a loro,
vedendo il male passare, la speranza
durare, la pace seguire alla guerra,
ma senza felicità e senza
tu potuto gioire e nato non era
onde tu avresti potuto incoronarti.
Ahi, che rimane oggi fra i cieli
e le tombe, nella notte ove s'oscura
la tua bellezza,
con la bellezza la tua muta dottrina,
nella patria divina ove Leonardo
specchio dell'Ideale, norma dell'opre,
culmine delle speranze sovrumane,
or che rimane per l'ultimo tuo sguardo,
che mai ti si scopre se non allegrezza
d'irrisori ed onta di schiavi?
come te, fra i cieli e le tombe.
E tu così dunque per sempre ti parti
dai cuori cui fin la tua ombra
fu luce e il tuo segno fu gioia?
Ten vai tu forse nel prato d'asfodelo
sorridendo verso gli eguali?
a contemplar le cose eterne
con fronte indicibile ed occhi immortali?
Chi verrà dietro la tua ombra?
Ah, per somigliarti
del tuo segno, innanzi ch'ei muoia
E arderà l'anima sua pura in un atto
come in un lampo arde il potere di un cielo.