Su le Lame
di Fuore,
nel salso
strame,
nelle
brune giuncaie,
nell'erbe
gialle,
oziano a
branchi
le saure e
baie
cavalle
di San
Rossore.
Altre su i
banchi
di sabbia,
altre nell'acqua
immerse
fino al ventre,
s'ammusano;
mentre
le groppe
al sole
rilucono,
chiare, scure,
d'oro, di
rame.
Su le
Lame, cui adduce
anatre il
verno,
oziano
nella luce
pura le
feconde,
coi
gravidi fianchi
immote in
una massa
placida.
Sole
su l'acqua
bassa
le lunghe
code
con moto
eterno
ondeggiano.
S'ode
a quando a
quando
fremito
delle froge
umide,
sbuffare
ansare
leggero,
tremulo
nitrito,
nella foce
silente;
cui dal
lito risponde
fievole
risucchio
del mare.
Taluna
esce del
mucchio, annusa
l'acqua,
s'abbevera lenta;
poi guata verso
il monte
su cui
s'aduna
fumoso il
nembo;
poi si
rivolge e ammusa.
E
ondeggiano le code
lente sul
riposo
della
mandra ferace.
Teco, o
Luce pura,
teco
attendono in pace
la
genitura
le Madri.
Lunge per
l'aria chiara
appar
grande e soave
cerula e
bianca
l'Alpe di
Carrara,
cerula
d'ombre
bianca di
cave.
Ma
ingombre del muto
nembo che
si prepara
son le
cime ov'hanno
con
l'aquile nido
le folgori
corusche.
Odor di
lunge acuto,
dalle
pinete
verdi e
fulve, nelle bave
rare del
vento giunge
alla
quiete.
Ed ecco
una nave,
ecco le
vele etrusche
partitesi
dal lito
di Luni
lunato
e niveo di
marmi.
Ecco una
nave in vista
tra il
Serchio e il Gombo.
È carica
di marmi,
è carica
di sogni
dormenti
nel profondo
candore
ignoti e soli.
E il mio
spirito evòca
il tuo
folle Evangelista,
o
Buonarroti,
il figlio
della Terra
e del
Genio che l'affoca;
vede la
gran persona
che si
torce nell'angoscia
del masso
che lo serra,
onde si
sprigiona a guerra
l'aspro
ginocchio, e la coscia
d'osso e
di muscoli enorme.
Nella
carena dorme
l'incarco
fecondo
di forme,
tratto dall'erme
cave,
rapito al
grembo dell'Alpe.
Nel grembo
della nave
dormono le
bianche moli.
Attendon
dai sogni soli
la
genitura
le Madri.