L'immensità
del duolo,
del lutto
immedicabile senza
fine,
terrestre fatta
qual Niobe
nell'umida rupe,
quivi
abitava sembra
nel lito
deserto, nell'alpe
ardua,
nella selva
che piange
il suo pianto aromale.
Tutto è
quivi alto e puro
e funebre
come le plaghe
ove duran
nel Tempo
i grandi
castighi che inflisse
il rigor
degli iddii
agli
uomini obliosi del sacro
limite
imposto all'ansia
del lor
desiderio immortale.
Tre disse
quivi immense
parole il
Mistero del Mondo,
pel Mare
pel Lito per l'Alpe,
visibile
enigma divino
che
inebria di spavento
e d'estasi
l'anima umana
cui travagliano
il peso
del corpo
e lo sforzo dell'ale.
Poi che
non val la possa
della Vita
a comprendere tanta
bellezza,
ecco la Morte
che
braccia più vaste possiede
e silenzii
più intenti
e rapidità
più sicura;
ecco la
Morte, e l'Arte
che è la
sua sorella eternale:
quella che
anco rapisce
la Vita e
la toglie per sempre
all'inganno
del Tempo
e nuda
l'inalza tra l'Ombra
e la Luce,
e le dona
col ritmo
il novello respiro:
ecco la
Morte e l'Arte
apparsemi
nel cerchio fatale.
O Niobe,
l'antico
tuo grido
odo alzarsi repente
al
cospetto del Mare,
e il tuo
disperato dolore
chiamar le
figlie e i figli
per
l'inesorabile chiostra,
e stridere
odo l'arco
forte e sibilare
lo strale.
«Tera,
Ftia, Cleodossa,
Astìoche,
Pelòpia, Fedìmo!»
Tu chiami;
e i dolci nomi,
i nomi che
furono il miele
della tua
bocca, o Madre,
si frangon
nell'ululo crudo
come pel
mìssile oro
l'incolpevole
fior filiale.
Procombono
sul petto
sul
fianco, procombono i corpi
floridi, i
giovinetti
venusti,
le vergini leni;
copron la
sabbia amara,
mescono le
chiome alle spume
non il
sangue: incruenta
è la piaga
dell'oro letale.
Procombono,
stanno
ai tuoi
piedi, o Madre demente!
Poi tutto è
marmo, immota
bellezza,
effigiato silenzio.
L'immensità
del duolo
è fatta
terrestre e marina.
Il Mare il
Lito l'Alpe
sono il
tuo simulacro ferale.
O
Tantalide audace,
io veggo
il tuo bellissimo vólto
impietrato
e il tuo pianto
nella
solitudine esangue,
e il
sacrilego orgoglio
che feceti
chiedere altari
per la
generatirce
virtù del
tuo grembo mortale.
Tutto è
quivi alto e puro
e funebre
e ai cieli superbo,
memore
dell'umane
grandezze
e dei castighi divini.
Ed in
nessuna plaga
con più
guerra, ahi, l'anima audace
travagliarono
il peso
del corpo
e lo sforzo dell'ale.