Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO TERZO - ALCYONE

31 - L'oleandro

IV.

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IV.

 

E così della rosa e dell'alloro

parlò quell'Aretusa fiorentina,

mutevole onda con un viso d'oro.

 

la sua voce era come acqua argentina

che recasse lavandula o pur menta

o salvia o altra fresca erba mattutina.

 

Tutto rigato dalla schietta vena

«Sol d'oleandro voglio laurearmi»

io dissi. Ed Aretusa era contenta;

 

e recise per me altri due rami

e fe' l'atto di cingermi le tempie

dicendomi: «Pe' tuoi novelli carmi!

 

Che la cerula e fulva Estate sempre

abbia tu nel tuo cuore e in te le rime

nascano come le sue rose scempie

 

E il giorno estivo non potea morire,

ma sorrideva sopra il bianco mare

silenziosamente senza fine;

 

e la notte, che avea parte ineguale,

spiava il bel nemico dalle chiostre

dei monti azzurra come te, Cyane.

 

Ebri e tristi d'aver bevuto a troppe

fonti e incantato il cor per tutte guise,

cercammo il grembo delle donne nostre.

 

Ma la Melancolìa venne e s'assise

in mezzo a noi tra gli oleandri, muta

guatando noi con le pupille fise.

 

Ed Erigone, ch'ebbe conosciuta

la taciturna amica del pensiero,

chinò la fronte come chi saluta.

 

E poi disse la Notte e il suo mistero.

 

 


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