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E così della rosa e dell'alloro
parlò quell'Aretusa fiorentina,
mutevole onda con un viso d'oro.
la sua voce era come acqua argentina
che recasse lavandula o pur menta
o salvia o altra fresca erba mattutina.
Tutto rigato dalla schietta vena
«Sol d'oleandro voglio laurearmi»
io dissi. Ed Aretusa era contenta;
e recise per me altri due rami
e fe' l'atto di cingermi le tempie
dicendomi: «Pe' tuoi novelli carmi!
Che la cerula e fulva Estate sempre
abbia tu nel tuo cuore e in te le rime
nascano come le sue rose scempie!»
E il giorno estivo non potea morire,
ma sorrideva sopra il bianco mare
silenziosamente senza fine;
e la notte, che avea parte ineguale,
spiava il bel nemico dalle chiostre
dei monti azzurra come te, Cyane.
Ebri e tristi d'aver bevuto a troppe
fonti e incantato il cor per tutte guise,
cercammo il grembo delle donne nostre.
Ma la Melancolìa venne e s'assise
in mezzo a noi tra gli oleandri, muta
guatando noi con le pupille fise.
Ed Erigone, ch'ebbe conosciuta
la taciturna amica del pensiero,
chinò la fronte come chi saluta.
E poi disse la Notte e il suo mistero.