Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO TERZO - ALCYONE

60 - L'otre

I.

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60 - L'otre

 

I.

 

Pelle del becco sordido e bisulco

fui, prima che mi traesser le coltella.

Deh come olente alla stagion novella

egli era e tra le capre sue petulco,

 

o uom che m'odi, e ben barbato e torvo

e di téttole dure ornato il gozzo

e d'aspre corna il fronte invitto al cozzo,

negli occhi sùlfure atro come corvo!

 

Sagliente egli era, e mogli in abbondanza

ebbe, e feroce fu nelle sue pugne;

ma al suon d'un sufoletto, erto su l'ugne

fésse, imitava il satiro che danza.

 

Occiso penzolò sanguinolente

dall'uncino; e squarciato fumigava,

nudi ostentando in sua ventraia cava

l'argnon focoso e il fegato possente.

 

Tratta gli fui di dosso umida e floscia.

Pelo e carniccio poi tolsemi il ferro.

Ghianda di gallonèa, scorza di cerro

fecermi bona concia nella troscia.

 

Rasciutta nelle cieche stìe, premuta

dai macigni, distesa dall'orbello,

per sorte un cucita fui del bello

con fil d'accia da femmina saputa.

 

Otre divenni e principe degli otri

obeso appresso i pozzi e le cisterne.

Acqua di cieli, acqua di fonti eterne

contenni, acqua di rivoli e di botri,

 

dolci acque e fresche ma di odor caprigno

sapide tuttavia, sì che talvolta

le femmine entro me chiusero molta

menta e il seme dell'ànace fortigno.

 

O uomo, l'otre invidia le tue seti!

Pianure arsicce, livide petraie,

pigre maremme fabbricose, ghiaie

e sabbie in foco per deserti greti,

 

stridor di carri, ànsito di giumenti

io conobbi, e il guatar del sitibondo.

Io valsi più che l'universo mondo

al desiderio delle fauci ardenti!

 

O uomo, da benigni iddii tu hai

le tue seti. Il garòfolo e il papavero

non così vividi ardere mi parvero

come la bocca tua che dissetai.

 

Non il capro, onde tratta fui sua spoglia,

mai si precipitò come chi volle

bere da me. Tutto lo feci molle.

Oh gaudio della gola che gorgoglia!

 

Mani cupide premono i miei fianchi

turgidi (sembra che gli arsi occhi bevano

prima che i labbri) mani mi sollevano

su arsi vólti, di polvere bianchi.

 

Va da me per le vene al cor profondo

la mia liquida gioia, al più remoto

viscere. Oh bene immenso! Eccomi vòto.

In dieci gole ho dissetato il mondo.

 

 


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