Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'allegoria dell'autunno
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Agli Ungheri ospiti del Vittoriale

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Agli Ungheri
ospiti del Vittoriale

Cari ospiti,

sul ponte della mia nave sacra e su la sacra collina ov’è l’arca del purissimo tra i miei morti eroi non potete Voi essere oggi i messaggeri della Speranza imbelle ma i sostenitori dell’implacabile Volontà.

Della Vostra grande Causa io fui il difensore primo in Occidente: io che primo ebbi il coraggio di vilipendere l’odioso Woodrow Wilson e mi mostrai poi sempre il più sprezzante avversario del Trattato iniquo che Vi straziò.

Altri Ungheresi vennero al Vittoriale; e non ebbero da me consolazioni vane ma rimproveri aspri per non avere obbedito alla parola di Sandor Petœfi: «Su, in piedi, o Magiari

Questa è oggi la parola stessa della Vostra terra. Voi non potete aver requie, non potete dormire, non potete indugiarVi, finché non abbiate rivendicata tutta quanta la Vostra terra. Soltanto allora, forse, ritroverete le ossa di Sandor scomparso nella battaglia; e le porrete fra le Vostre reliquie più insigni.

Tuttavia, o fratelli, scomparire nella battaglia è il più alto destino. Così sia di me.

Le lagrime di quegli Ungheresi, che mi udirono, riardono oggi nella mia tristezza. A coloro io ricordai il motto inscritto da Mattia Corvino sotto il Diamante da lui assunto per impresa contro l’avversità: Durat et lucet.

Anche ricordai il motto del re Bela: Dum infirmor sustineo.

L’una e l’altra sfida della costanza invitta io rinnovello nella Vostra memoria. Non siate infedeli a Voi medesimi. Lottate fino all’estremo, fino a che non siate Voi scomparsi nella battaglia come il Vostro poeta ed eroe esemplare, come Sandor.

Chi sopporta il sopruso e il vituperio, merita l’uno e l’altro. Questo è certo. Ricordatevene. «Su, tutti in piedi, o Ungheri, di dalla Morte

Stanotte Alessandro Monti ha strappato la Vittoria d’oro dalla mano di pietra che la reggeva, , nella faccia della mia casa.

Eccola. A Voi la offro, con dolente e ardente cuore.

I cannoni della nave insanguinata saluteranno il re Stefano santo, il re Mattia, Sandor Petœfi, Alessandro Monti, Luigi Kossuth, tutti i confessori della Patria; e l’avvenire prossimo, la rivendicazione prossima.

L’arca di pietra su la mia collina avrà più d’un sussulto, destinata anch’ella a scoperchiarsi.

InginocchiateVi, come già fecero i primi visitatori, ma senza piangere.

In ginocchio, giurate. E partitevene con un cuore più maschio, non nella speranza ma nella certezza.

Addio.

Il Vittoriale: 22 ottobre 1929.

Gabriele d’Annunzio



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