Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO QUARTO - MEROPE

2 - La canzone del sangue

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2 - La canzone del sangue

 

In Cristo Re o Genova, t'invoco.

Avvampi. Odo il tuo Cìntraco, nel caldo

vento, gridarti che tu guardi il fuoco.

 

Non SpinolaFiescoGrimaldo

trae con la stipa. Il sangue del Signore

bulica nella tazza di smeraldo.

 

S'invermiglia a miracolo d'ardore

il tuo bel San Lorenzo, come quando

tornò di Cesarèa l'espugnatore.

 

Tornò Guglielmo Embrìaco recando

ai consoli giurati, in sul cuscino,

tra la sesta e il bastone di comando,

 

tra la coltella e il regolo, il catino

ove Giuseppe e Nicodemo accolto

aveano il sangue dell'Amor divino.

 

Era desso, l'Embrìaco, figliuolto,

quei che fece al Buglione il battifredo

onde il vóto santissimo fu sciolto.

 

Con le mani che diedero a Goffredo

la scala invitta, sopra il popol misto

levò la tazza. E il popol disse: «Credo».

 

E ribolliva il sangue ad ogni acquisto

di Terrasanta; e n'eri tutta rossa,

il popolo gridando: «Cristo, Cristo!

 

Cristo ne preste grazia che si possa

andar di bene in meglio». E la Compagna

incastellava cocca e galèa grossa.

 

Così tu veleggiasti alla seccagna

di Tripoli, con uno de' tuoi Doria

buon predatore, o Genova grifagna;

 

ché padroni e nocchieri di Portoria

e di Prè, stanchi d'oziare a bordo,

tentarono l'impresa per galloria.

 

Ed era un vile tirannello ingordo

quivi, nato d'un fabbro saracino;

e l'ebbero per palio in sul bigordo.

 

Ogni roba condussero a bottino,

ogni uom prigione. E pieno di tesoro

fu l'ammiraglio quanto il pilotino.

 

La terra spoglia come piacque a loro

poi la vollero vendere a vergogna.

per cinquanta e più milia doble d'oro.

 

Poi cattarono altrove altra bisogna;

e stettero tre mesi in su la guerra

per le marine della Catalogna.

 

O Genova, ma non l'istessa terra

presa dalle tue quindici galere

è quella ch'oggi il nostro acciaro serra;

 

né di preda in pecunia ed in avere

sottile, se il sangiacco la volta

come l'altro, sarem noi per godere;

 

né, quando bene glie l'avrem ritolta,

a quetare i tribuni dell'Erario

la venderemo noi un'altra volta.

 

Odimi, pel sepolcro solitario

del tuo Lamba colcato in San Matteo

lungi al figlio che s'ebbe altro sudario;

 

pel fonte del tuo picciol Battisteo

donde al mare t'escì la grande schiatta

sperta di mille vie come Odiseo,

 

di mille astuzie aguta, assuefatta

ai mali, contra i rischi pronta, a scotta

tesa, a voga arrancata, a spada tratta,

 

ìmproba e col gabbano e con la cotta,

usa il giaco fasciar di mal entragno

come di cuoia crude la barbotta,

 

indomita a periglio ed a guadagno,

or tutt'ala di remi al folle volo,

or piantata nel sodo col calcagno;

 

odimi, Mercatante, dal tuo molo,

Guerriera, dal naval tuo sepolcreto,

Auspice, dal tuo scoglio ignudo e solo,

 

per l'ombra di quel semplice Assereto

che, distolto da rògito o caparra

e posto sopra il cassero, l'abeto

 

trattò meglio che il calamo, la barra

di battaglia assai meglio che il sigillo,

contra il fior d'Aragona e di Navarra,

 

vincitore di re su mar tranquillo,

con gli infanti coi duchi e coi gran mastri

aggiugnendo al trionfo un codicillo;

 

odimi, Ascia di Dio. Se sotto gli astri

d'un'altra state, tutti i tuoi rosai

aulendo ne' tuoi chini orti salmastri,

 

tal si partì coi rossi marinai,

con l'Amore e la Morte, del fraterno

stuolo facendo un spirito, e giammai

 

volse il bel capo verso il lido eterno,

dubitoso di perdere Euridice

che dietrotraeva dall'Inferno;

 

se t'ebbe inconsapevole nutrice

l'esule smorto, tutto fronte e sguardo,

il fuoruscito senza Beatrice,

 

quegli che nel crepuscolo infingardo

eresse il suo dolore come un rogo,

il suo pensiero come uno stendardo,

 

e nella carne stracca sotto il giogo

il soffio ansò di quella terza vita

ch'or freme ferve splende in ogni luogo,

 

con te sì presso all'opera fornita

è quel dèmone vindice che forma

il suo mondo nell'anima infinita.

 

Ben a tal piaggia, ove non è che l'orma

dell'Immortale, o Madre delle Navi,

ieri approdò la nostra prima torma.

 

Non all'antica terra che forzavi

con la balestra e col montone, dura

in mettere a bottino, in trarre schiavi;

 

ma alla terra che chiamano futura

i messaggeri, alla terra dei figli,

alla terra dell'Aquila futura.

 

Come di tra i riversi orli vermigli

delle pàlpebre gli occhi del piloto

s'aguzzavano sotto i sopraccigli!

 

Ché divinava egli per entro al vòto

gorgo dell'aria un che di virginale

e di sublime, quasi monte ignoto,

 

simile al nudo culmine ove sale

lo spirito, ov'edifica imminente

lo spirito la grande arce spirtale.

 

E chiuse, per veder profondamente,

e chiuse egli le pàlpebre infiammate

su le pupille insonni; e fu veggente.

 

Per ciò, serva del Ciel, per ciò, primate

del Mare santo, la Reliquia vedo

ardere ed arrossar le tue navate.

 

Con le mani che diedero a Goffredo

la scala invitta, il rude espugnatore

levò la tazza. E il popol disse: «Credo».

 

O parola novissima d'amore,

trascorri in nembo tutto l'Apennino

e fa crosciar le selve al tuo clangore!

 

Ecco il vaso di vita, ecco il catino

ove Gesù nel vespero pasquale

ai Dodici versò l'ultimo vino,

 

e lor disse: «Quest'è il mio sangue; il quale

è il sangue del novel patto, ed è sparso

per molti». E s'indiava sopra il male.

 

Quando clamò «Eloi!» dal cor riarso,

nell'ora nona, un uom d'Arimatea

venne; e in quel vaso accolse il sangue sparso.

 

Quindi per alta grazia un'assemblea

di Puri s'ebbe lo smeraldo sculto

in custodia; e di loro il mondo ardea.

 

Pari l'ebrezza del convito occulto

era ad una immortalità precoce,

ed il trapasso era un divino indulto.

 

L'anima era visibile; la croce

era senz'ombra; il pianto era rugiada;

il silenzio era un inno senza voce.

 

L'avversario era in capo d'ogni strada;

la battaglia era un serto di faville;

la giustizia era l'occhio della spada.

 

Il futuro era un carme di sibille

come di tessitrici glorianti;

e la gloria era d'uno contro mille.

 

O Mistero del Sangue! I duomi santi

crollarono in un vespero, i templari

furon sepolti sotto i marmi infranti.

 

E un'orda venne, che coi limitari

divelti, col rottame dei lavacri

perfetti, con le mense degli altari,

 

con le schegge dei grandi simulacri

costrusse le sue case. Ed il porcile

era murato di frammenti sacri.

 

Ma i bianchi Astori lungi all'orda vile

avean rapito il segno del reame.

Odimi tu, latin sangue gentile!

 

Odimi; ché di te sotto il velame

io dico, e del miracolo repente

onde un spirito fai di tanto ossame.

 

Quale improvviso nella notte ardente

di Cesarèa l'Embrìaco la tazza

di salute rinvenne alla sua gente

 

e, quella pósta su la galeazza

come il palladio fu su la trireme,

ricelebrò la gloria della razza,

 

tal forse un genio indìgete del seme

d'Enea ritorna a noi col divin segno

dallo splendore delle sabbie estreme.

 

Tra le palme invisibili arde il pegno

del novo patto. Innanzi ch'Ei si sveli

giura fede al Signor del novo regno,

 

Italia, per gli aperti tuoi vangeli,

e per la grande imagine che invoco,

e per la gesta che t'allarga i cieli!

 

«Chi stenderà la mano sopra il fuoco

grida il Signore ai primi eroi comparsi

«Chi stenderà la mano sopra il fuoco

 

avrà quel fuoco per incoronarsi

 

 

 


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