Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO QUARTO - MEROPE

3 - La canzone del Sacramento

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3 - La canzone del Sacramento

 

INTROIBO AD ALTARE DEI. Sul cassero

era fitto un pavese quadro in otto

battagliòle forcute, e v'era un assero

 

di timone per grado, e paliotto

un panno di bastita era, tovaglia

era ferzo di trevo o marabotto;

 

e quivi con un càmice di maglia

l'asta di croce in pugno avea l'accolito.

fatto era l'altare di battaglia.

 

E fu silenzio ed isplendore insolito

su tutto il mare, al segno del Primate.

E tutte le galèe stavano in giolito,

 

con le pale fuor d'acqua affrenellate

su la bonaccia. E il giorno di San Sisto

era per i Pisani, a mezza state.

 

Tenean quelli di Genova il sinistro

corno con navi e saettìe, l'opposto

le genti di Campania unite in Cristo.

 

Rosse le prore come tinte in mosto

avea Salerno, d'indaco Gaeta,

d'oro Amalfi alla Vergine d'agosto;

 

ché que' mercanti a battere moneta

intendevano sol per far naviglio

e cambiavano in gómene la seta.

 

KYRIE, ELEISOS. Il bianco ed il vermiglio

ondeggiavan con l'Aquila pisana

che già temprato in Bona avea l'artiglio;

 

e la Rosa dei vènti amalfitana,

già fatta croce irsuta d'otto punte,

si consecrava presso la campana.

 

CHRISTE ELEISON. Ché s'erano congiunte

nel lor Signore le città tirrene

la prima volta a lega; avevan unte

 

di novo spalmo a caldo le carene

per la lega, cresciuto il palamento,

rinforzato il cordame e le catene,

 

ai lor Vescovi dato sacramento

di riscattare dal predone immondo

le tolte navi, il cristiano armento;

 

e parea quivi il comun corpo al mondo

latino annunziar le sante imprese,

prima che si crociasse Boemondo.

 

KYRIE, ELEISON. Le guardie del calcese

trasognando vedean nell'acqua i bianchi

marmi fiorir delle lor dolci chiese.

 

Tutti in corazza i rematori franchi,

allacciati i giglioni coi frenelli,

pregavano a ginocchi sopra i banchi;

 

ma i prodieri, di sotto i lor cappelli

di cuoio, con un piede alla pedagna,

guatavano la costa pei portelli.

 

AGNUS DEI. E per tutta la compagna

fremito corse; ché, splendor d'Iddio,

splendé nella raggiera l'Ostia magna.

 

E i prossimi gridarono: «Te, Dio,

lodiamo, Te, Signore, confessiamo!».

Ed anelavan di ricever Dio

 

nella specie del Pane. «Te lodiamo,

Te confessiamo, unico Iddio vivente.

Del corpo di Gesù comunichiamo.

 

Dacci il Pane dei forti!» E incontanente

s'apprese la divina bramosia,

corse di poppa in prua, di gente in gente.

 

E il Vescovo rispose: «Così sia».

E per tutto il naviglio fu gran serra

al grido: «Eucaristia! Eucaristia!».

 

Ed era il grido della santa guerra.

Poi fu silenzio. Il rugghio d'un leone

udito fu venire dalla terra.

 

E dal cassero come dall'ambone

il Vescovo parlò: «Fratelli in Dio,

udite, udite il rugghio del leone!».

 

E sopra la coverta un balenìo

passò, dalle garitte alle rembate;

le carte del Vangelo sul leggìo

 

si volsero, le lunghe fiamme issate

garrirono, stridé l'alberatura

carica delle vele ammainate;

 

ché si levava il vento di Gallura

per i Pisani. E il console Uguccione

dietro il Vescovo apparve in armatura.

 

E il Vescovo parlò: «Egli è il leone

di Ieronimo, o quel che pien di miele

fu rinvenuto in Timna da Sansone,

 

o quel che nella fossa Daniele

mansuefece, ond'egli disse al re:

«L'Iddio mio mandò l'Angelo fedele

 

il qual compresse le fauci, talché

non m'hanno guasto». E sì voi confidate,

ché molta in cielo è la vostra mercé,

 

e l'Angelo di Dio dalle rembate

vi guarda, e su dal gorgo i vostri morti

risalgono perché vi ricordiate,

 

perché più non isforzi ai vostri porti

le catene il feroce rubatore».

Gridaron tutti: «Dacci il Pan dei forti!».

 

E, come fu sedato il gran clamore,

tanto crebbe la romba dei ruggiti

per quelle rupi rogge dall'ardore,

 

che parve avesser chiuso i re ziriti

quivi l'intiera possa del Deserto

a difendere i culmini turriti.

 

Sorgevano le sette torri in serto

sopra il ciglione, e la muraglia spessa

le collegava; e il fosso era coperto

 

dal barbacane; e sola era lungh'essa

la muraglia una porta verso terra,

ché la cerchia marina era inaccessa.

 

Ismisurata macchina di guerra,

la nemica città feriva il cielo

mentre il suo cor parea ruggir sotterra.

 

«O Cristiani, in duomo pel Vangelo

voi giuraste, toccata la scrittura,

per le Reliquie sante, per il velo

 

di Nostra Donna e per la sua cintura,

pei vostri fuochi e per le vostre fonti,

e per la culla e per la sepoltura

 

Miravano i Pisani Ugo Visconti

ch'era il lor fiore, e rivedeano corca

la dolce Pisa in ripa d'Arno ai ponti,

 

e dove la fiumana si biforca

l'orme di Piero, e alzata in pietre conce

la preda di Palermo e di Maiorca.

 

Misurar si sognavano a bigonce

i Genovesi e il console Gandolfo

l'oro ch'avean pesato a once a once.

 

Quei di Salerno il lor lunato golfo,

gli archi normanni, tutta bronzo e argento

la porta di Guïsa e di Landolfo

 

aveansi in cuore, e l'arte e l'ardimento

onde tolse lo scettro ad Alberada

Sigilgaita dal quadrato mento.

 

Ma quei d'Amalfi, cui la lunga spada

era misura, a patria più lontana

andavano; ché già s'avean contrada

 

e forno e bagno e fondaco e fontana

per tutto, e Mauro Còmite dal Greco

mattava il Doge al libro di dogana.

 

«Fratelli in Cristo, dietro il muro bieco

a mille a mille anime battezzate

penano; e solo il pianto hanno con seco.

 

Non vi croscia nel cor, se l'ascoltate?

Sono i fanciulli, sono i vecchi, gli avi

e i padri, son le donne violate,

 

schiavi alla mola, schiavi al remo, schiavi

al carico, sepolti nelle gune

del grano come in cemeterii cavi,

 

muffi nelle cisterne e nelle mude,

riarsi dalla sete e dalla fame,

rotti dalla catena e dalla fune.

 

Bevono pianto, màsticano strame.

Vivi non sono più né sono morti.

Sono un cieco dolore in un carname.

 

Se non vincete, ecco le vostre sorti,

fratelli in Cristo.» E il tuono fu sul mare.

«Allarme! Allarme! Dacci il Pan dei forti

 

E l'Ostia sfolgorava su l'altare

a tutti i marinai come la spera

del sole. E Dio ricamminò sul mare.

 

Ed issò lo stendardo ogni galera;

e volse d'Occidente ad Oriente

con le mani velate la raggiera

 

il Vescovo, e dal petto suo potente

AGNUS DEI QUI TOLLIS PECCATA MUNDI

clamò tre volte sopra la sua gente.

 

Ed Uguccione e i consoli congiunti

in Cristo e tutta la capitanìa

AGNUS DEI QUI TOLLIS PECCATA MUNDI

 

conclamarono. E lungo la corsia

e nelle balestriere e su i castelli

risposero gli armati: «Eucaristia!».

 

E i vogavanti sciolsero i frenelli,

al sìbilo dei còmiti; e due vanni

il legno fu dai cento suoi portelli.

 

«La croce a poppa, messer San Giovanni

a prua, la Vergin Donna Nostra in vetta

all'albero di mezzo: e Dio li danni

 

Gridavano i prostrati «Affretta! Affretta

vedendo i lor adusti cappellani

frangere a gara l'Ostia benedetta.

 

E alfine s'ebber l'Ostia nelle mani

essi i prostrati; assolti l'ebber tocca

i feditori con le dure mani

 

indurite alla lieva ed alla cocca,

e la fransero e diedero ai compagni;

e ricevuta fu di bocca in bocca.

 

E l'un l'altro pregava: «Sì la fragni

che basti a me, che basti anco a fratelmo!».

E tremavagli il fondo degli entragni,

 

ché non bastava. Allora nello schelmo

saltò quell'uno, armato; si scoperse

il capo, empié d'acqua marina l'elmo;

 

e l'alzò, come calice l'offerse

gridando: «Valga a noi per sacramento,

o Vescovo di Cristo!». E quei converse

 

in ispecie divina l'elemento

indomito, col segno, dall'altare

gridando: «Valga a voi per sacramento».

 

E si comunicarono del mare

sol con quel segno i fanti: ginocchioni

contra i pavesi, udìan Màdia rugghiare.

 

Poi forzaron le rupi ed i leoni.

 

 

 


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