Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO QUARTO - MEROPE

8 - La canzone di Umberto Cagni

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8 - La canzone di Umberto Cagni

 

Cagni, colui che a te negli anni eguale

patì l'ignavia delle vane carte,

morso il cuore dall'aquila immortale,

 

e vendicò nello stridor dell'arte

la forza che sognar faceagli il fato

e il pallore del giovin Bonaparte

 

quando credea nel suo silenzio armato

essere il messo della nova vita

e della nova gloria il primo nato,

 

colui t'onora come la scolpita

imagine del sogno suo più forte,

si ch'ei disdegna l'opera fornita

 

e, gittando sul vólto della sorte

le sfrondate corone, or solo spera

nell'ultima bellezza della morte.

 

Non per la forza, o anima guerriera,

non pel fàscino invitto onde rapivi

ltre la forza l'èsile tua schiera

 

quando fendevan quattro cuori vivi

l'immensa ghiaccia, e più del buio trista

la notte senza tènebra era quivi;

 

non pel fertile ardire onde fu vista

una manata d'uomini discesa

dalle navi tenére la conquista

 

della terra ed accrescersi, sospesa

nel pericolo come nel bagliore

d'un nume, onnipresente alla difesa;

 

ma per l'amore, ma pel solo amore

onde due volte già trasumanasti,

eroe, t'invidio sopra il tuo valore.

 

Eroe di due deserti, dei più vasti

geli e delle più vaste sabbie, in quali

eroiche immensità l'Italia amasti!

 

Ogni altro umano amor sembra senz'ali

e senza lena e inglorioso e impuro,

congiunto alla viltà dei nostri mali.

 

Come il fiore d'un mondo nascituro

il tuo fu, schiuso all'orlo d'un'estrema

Tule che dentro te, nell'uomo oscuro,

 

avevi, incognita. E la man mi trema,

quasi eternassi la mia smania ignava

celebrandoti, eroe, nel mio poema.

 

Penso la mano tua che dolorava

cominciando a morire, il ferro atroce,

l'anima indenne su la carne schiava;

 

la volontà spietata e senza voce

che ti facea lo sguardo come il taglio

della piccozza; il piede più veloce

 

come più duro era il cammino; il maglio

invisibile che schiacciava i blocchi

enormi, con un tuono ed un barbaglio

 

di prodigio pel bianco Ade ove gli occhi

seguivano i silenzii oltre i fragori;

le dighe che rompevano i ginocchi

 

e i gomiti; le slitte tratte fuori

dalle crepe improvvise; la costretta

man dolorosa ai ruvidi lavori;

 

e la fame in attesa della fetta

crudigna presso il cane ancor fumante

scoiato su la neve, la galletta

 

muffita per panatica, all'ansante

sete il sorso dell'acqua fetida, ogni

penuria, ogni miseria; e, se il sestante

 

segnava il punto suo, tutti i bisogni

conversi in riso lieve e nelle stanche

ossa inserte le invitte ali dei sogni.

 

Ti sovviene? Su le pianure bianche

una vita recondita bruiva,

nel gran giorno di Dio. Le dighe bianche

 

s'alzavano, crollavano; la riva

si saldava alla riva, il monte al monte.

Tutta la solitudine era viva

 

di ghiacci sino all'ultimo orizzonte,

fulgida sotto il sol di mezza notte.

Tra l'infinito e le tue brevi impronte

 

era la prova, augusta fra le lotte

dell'uomo. E tu dicevi a te: «Più oltre».

L'Oceano era un bàratro di rotte

 

isole. E tu dicevi a te: «Più oltre».

Sparivano i due solchi in un tumulto

raggiante informe immenso. E tu: «Più oltre!».

 

Ché ti parea da uno scalpello occulto

nell'eterno cristallo solitario

quell'altro nome ovunque fosse sculto:

 

lo scandinàvo. «Non è necessario

vivere, sì scolpire oltre quel termine

il nostro nome: questo è necessario

 

E la virtù dei quattro uomini inermi

fu per un'ora il vertice del mondo.

Ti sembrò tutto fervere di germi

 

immortali l'Oceano infecondo.

Sommosso ti sembrò tutto il deserto

artico dal tuo palpito profondo.

 

Poi fu silenzio, sotto il segno certo.

Fu la cerchia terribile del gelo

alla tua gioia adamantino serto.

 

L'anima tua su te diffuse il cielo

d'Italia. Fosti immemore e sparente

come l'Ombra sul prato d'asfodelo.

 

Allora, come l'inno fa presente

l'iddio, l'amor creò l'imagin vera

della Patria. Nel gran silenzio algente

 

parve con l'alito una primavera

sublime ella diffondere. Il tuo santo

amore volse in luce la preghiera.

 

Piangesti. Ed ogni lacrima del pianto

eroico rilucea più che il polare

meriggio. Sol per una, ecco il mio canto.

 

O messo della gesta d'oltremare,

o precursore degli eroi rinati

sul lido ove rosseggia il nostro altare,

 

o tu che primo fosti ai primi agguati,

l'indice tronco della man virile,

quel che impone i comandi o addita i fati,

 

non fu debole all'elsa. E il puro aprile

della tua gloria parve ad altra ebrezza

rifervere nel sangue tuo gentile.

 

Ah, da qual sacro mare di bellezza,

da qual divino anello d'orizzonte,

da qual non vista aurora escì la brezza

 

vigile che soffiava su la fronte

de' tuoi, presso i Pozzi dove forse

Roma avea coronata la sua fonte?

 

Nella notte d'ottobre ardevan l'Orse

alte coi sette e sette astri fatali

su i marinai, quando la luna sorse.

 

Tutta bella tra il golfo dei corsali

e il Deserto, levava al gran ritorno

l'Oasi le sue palme trionfali.

 

Simile all'invocata alba d'un giorno

mistico era il notturno effuso lume;

e l'annunzio e l'attesa erano intorno.

 

Parea, spirato dall'antico nume,

intra il libico monte e l'apennino

spander il ciel di Dante il suo volume.

 

Da qual nascosto vortice marino

la colonna rostrale era polita

perché splendesse al novo eroe latino?

 

Quali mai braccia avean diseppellita

da secoli di sabbia e di barbarie

Minerva, chiarità di nostra vita?

 

Di sotto l'oro della sua cesarie

spiava ella gli imberbi, dalla vetta

cerula delle palme solitarie?

 

Era forse Ebe la parola detta,

come nella battaglia di Micale

vinta col nome d'Ebe giovinetta?

 

Tutto era senza limite, eternale

ed imminente, nell'abisso cieco

del tempo e in sommo della vita frale.

 

Carme romano ed epinicio greco

passavano con tuono di tempesta,

e la canzone italica era teco.

 

E la canzone italica di festa

e di guerra, di vóto e di riscossa,

la sua face scotea su la tua testa.

 

Tu, come le midolle son nell'ossa

eri in quel pugno d'uomini. L'odore

del coraggio era nella sabbia smossa,

 

Ferìan la notte fasci di splendore

dalle grandi pupille delle navi

insonni; e la potenza delle prore

 

pareva entrar nei parapetti cavi

a rendere invincibili i tuoi pochi.

In piedi tu, come sul ponte, stavi.

 

Tutta l'Oasi rossa era di fuochi

scroscianti. I cani urlavano alla morte.

L'assalto era un inferno d'urli rochi.

 

La città senza spalti e senza porte

avea l'inespugnabile cintura:

te, giovinezza, amore della sorte!

 

Ti canto, aurora; e la tua mano pura

come la rosa, piena di semente.

Ti canto, eroe, per l'anima futura;

 

e la battaglia presso la sorgente.

 

 

 


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