Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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NOTE AL LIBRO DI MEROPE

8 - La canzone di Umberto Cagni

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8 - La canzone di Umberto Cagni

 

I tre compagni di Umberto Cagni nella spedizione polare partita con le slitte dalla baia di Teplitz la domenica 11 marzo 1900, rimasti con lui dopo il rinvio degli altri due gruppi, furono Giuseppe Petigax, Alessio Fenoillet, entrambi di Courmayeur, e il marinaio ligure Simone Canepa di Varazze.

Espeditissimo fu il Cagni. Superò ogni altra conosciuta celerità sul ghiaccio dell'Oceano artico. Percorse seicento sette miglia in novanta cinque giorni. Fritjof Nansen faceva nel periodo migliore cinque miglia al giorno. Il nostro ne fece dieci. Il pensiero della celerità lo assillava di continuo. «La mancanza di luce prima, il freddo intenso poi, mi hanno impedito di oltrepassare e talvolta di raggiungere le otto ore di marcia. Vedo che i miei uomini in queste marce e nel lavoro d'accampamento, con tenacia di volontà ammirevole, dànno quanto possono dare nella massima misura. Ritengo che in queste condizioni sarebbe imprudente richiedere uno sforzo maggiore da essi. Ed ora il vento che soffia violento e la neve che ci involge ergeranno nuovi ostacoli at nostro cammino. Eppure ad ogni costo bisogna che questo sia più rapido! (domenica 18 marzo).»

Il 25 marzo, costretto a far senza guanti il lavoro improbo del riattare le slitte, vide formarsi una vescica «all'estremità dell'indice della mano destra, già congelatasi due altre volte».

«L'indice della mano destra mi tormenta continuamente da alcuni giorni, ma non lo scopro mai per timore d'infettarlo, e poiché a nulla ciò servirebbe, non avendo né tempomodo di curarlo. Lo guarderò il giorno del ritorno (mercoledì 11 aprile).»

Il lunedì 23 aprile egli doveva superare il termine raggiunto dallo Scandinavo. «Il ghiaccio cigolava da tutte le parti e si incavalcava, e rumoreggiando ergeva dighe: canali serpeggianti si aprivano e ove altri si richiudevano nuove dighe s'inalzavano. Mai avevo veduto il ghiaccio così vivo, così palpitante, così minaccioso. I cani intimoriti guaivano e si arrestavano; noi li spingevamo con la voce e affannosamente aiutavamo or una slitta, or l'altra.»

«Nei brevi riposi ci guardavamo sorridendo, ma nessuno parlava; forse ci pareva che la nostra voce dovesse rompere l'incantesimo che ci conduceva alla vittoria...»

Il dolore del dito lo tormentava sempre. Bisogna leggere nel Diario con quale atroce pazienza egli stesso operò il taglio della parte annerita. Per recidere l'ossicino sporgente, dolorosissimo, con un paio di forbici comuni, impiegò quasi due ore. «Canepa ad un certo momento non ha più resistito ed è scappato fuori della tenda nonostante il vento e la neve

Rinunziava a lavare la piaga col sublimato «per risparmiare tempo e petrolio». Come più crescevano gli stenti e gli impedimenti, più gli cresceva l'energia. «Mi sembra di avere una nuova grande energia fisica, conseguenza forse di quella morale potentemente eccitata dal pericolo, dalla lotta per la nostra conservazione e da un desiderio infinito che supera forse quello della vita: dal desiderio che tutte le nostre fatiche ed i nostri sacrificii non vadano perduti, che l'Italia sappia che i suoi figli dalla lotta secolare, nuova per essi, escono con onore...»

Con ancor più veloce energia la spada di Bu-Meliana fu stretta, sul limite del Deserto libico, dal pugno cui mancava la falange congelata nel Deserto artico.

 

 


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