Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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LIBRO QUINTO - CANTI DELLA GUERRA LATINA

5 - Preghiere dell'Avvento

1 - PER I MORTI DEL MARE

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5 - Preghiere dell'Avvento

 

1 - PER I MORTI DEL MARE

 

Mare di Dio, che sceveri le sorti

dei combattenti nella sacra guerra,

io ti prego: non rendere i tuoi morti,

Mare, alla terra;

 

non rendere i cadaveri che il sale

macera, né l'ossame che tra flutto

e flutto imbianca, al lido, o Sepolcrale,

e al nostro lutto;

 

ma sì, nel gorgo acerbo come il pianto

fùnebre, tieni le profonde some

perché noi più t'amiamo e a noi più santo

duri il tuo nome;

 

ma sì tieni le spoglie nell'intorto

abisso pari al nostro amor rapace,

perché non sia rifugio in te né porto

in te né pace

 

in te né treguasalute a noi

alcuna se la servitù non cessi

e in te Roma non chiami i glauchi eroi

al Resurressi.

 

Miseri eroi, non caddero sul ponte

della nave, gioiosi di battaglia,

in un sangue perenne come fonte

che non s'accaglia;

 

non udirono, sotto la bufera

del fuoco, nel rossore che non stagna,

stridere contro l'asta la bandiera

quasi grifagna,

 

non lassù, dalla ferrea rembata

che folgora, la scorsero con gli arsi

cigli come Vittoria catenata

lassù squassarsi;

 

né s'accosciaron presso i tubi, quando

nel capo chiuso dentro la sonora

cuffia d'un tratto rombano comando

e morte, a prora;

 

né, travaglio dell'orrido beccaio

che pesta e insacca, furon carne trita

da rempiere la gola del mortaio

ammutolita;

 

né, dato in brocca il fulmine coperto

contro il nemico enorme, solitaria

vider l'elice folle in cima all'erto

scafo nell'aria

 

e irsuta l'onda, delle mille braccia

invan tese da un sol terrore urlante,

prima d'inabissarsi senza traccia

presso il gigante.

 

Ma l'insidia li colse, ma l'agguato

li pigliò, nell'immensa albàsia eguale:

ruppe il fianco, la piaga nel costato

aprì, mortale;

 

di sùbito colcò pel sonno eterno

la bella nave, dandole carena

come a racconcio, sotto il lungo scherno

della sirena;

 

e l'acciaio temprato a gran martello

fu cosa ignuda come vil tritume,

sopra l'acque di Dio men che fuscello,

men che le spume.

 

Or repente un miracolo divino

percote l'acque. Il sol rompe la nube?

fa d'ogni flutto un branco leonino

di rosse giube?

 

Chi squarcia la foschìa dell'imminente

morte? Si leva un giorno di beata

porpora? Esulta tutto l'oriente,

e un'ora è nata?

 

fulvo branco di leoni balza,

né s'inarca fulgore di sovrana

porpora. Sola su la morte s'alza

l'anima umana.

 

Sola alla morte l'anima sovrasta

congiunta ancóra al carcere dell'ossa

come fuoco si radica in catasta

a prender possa.

 

Uomini vivi, saldi sul tallone,

non in coperta ma lungh'esso il bordo

dileguante con l'ultimo cannone

nel succhio sordo,

 

diritti come se facesser ala

ad ammiraglio in nave pavesata,

diritti come sotto la gran gala

schiera ordinata,

 

gittano al cielo un grido così forte

che ferisce le cime dell'ardore,

e sforzano a sorridere la Morte

che mai non muore.

 

O Vittoria, alta vergine severa,

or quando vinci se non vinci in questa

fine? Dove più sfolgori, o guerriera?

in quale gesta?

 

E qual madre, qual dolce madre o suora,

che tu le renda le profonde salme

osa pregarti, o Mare dell'aurora,

giunte le palme?

 

Chi lungo i lidi tuoi, Mare dei prodi,

erra con entro il cor l'esangue vólto,

sperando che nel cor l'ombra gli approdi

dell'insepolto?

 

Mare di Dio, le vittime che celi

tu non rendi, né odi le querele

dei sùpplici; ma duri ai tuoi fedeli

tomba fedele,

 

ma conservi le spoglie nell'intorto

abisso pari al nostro amor rapace,

perché non sia rifugio in te né porto

in te né pace

 

in te né treguasalute a noi

alcuna se la servitù non cessi

e in te Roma non chiami i glauchi eroi

al Resurressi.

 

11 decembre 1915.

 

 


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