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Signor di sangue, Dio dei combattenti,
non a te supplichiamo con la faccia
alzata, non leviamo noi le braccia
verso te, non gli altari tuoi cruenti
serviamo con le man protese o giunte
né ti cerchiamo noi con la preghiera
nostra nei luoghi altissimi, di sfera
in sfera, tra le tue falangi assunte;
ma ci prostriamo con la fronte bassa,
ma contro il suolo noi poniam la fronte
nuda, poniamo il viso nelle impronte
umili, il fiato dove il piede passa,
c'inginocchiamo, o Dio della battaglia.
dove la Patria è nostra, nella mota,
nell'erba, nella strada che la ruota
solca, nel campo che l'aratro taglia,
dove la zolla è come nostra polpa,
dove il fiore è un pensiero di mill'anni
intimo e fresco in noi come gli affanni
segreti dell'infanzia senza colpa,
dove la foglia è un cuore che si frange,
dove il sasso è la vertebra scolpita
d'una potenza che in un'altra vita
fu nostra, dove tutto parla e piange,
dove tutto per noi ricorda e spera,
dove a noi l'acqua è lacrime e rugiade,
dov'è l'autunno tutto quel che cade
di noi tristi, dov'è la primavera
tutto quel che di noi si rinnovella
e gemma e fa di noi virgulto e ramo;
quivi, Signore Iddio, c'inginocchiamo
quivi chiniam la fronte, ch'è più bella;
perché, Nostro Signore, non nei cieli
sei ma sotterra sei, ma sei profondo
nel nero suolo, occulto sei nel mondo
di giù, Dio che col fuoco ti riveli;
e non hai cura delle tue felici
selve, non nutri il seme, non concedi
al germe il fimo fendere, ma i piedi
dei combattenti sono le radici
della tua primavera annunziata
dall'Arcangelo, i piedi dolorosi
dei combattenti, i piedi sanguinosi
dei figli nella terra insanguinata,
Signor di sangue, e tutto il lor dolore
per sempre, nella terra una bontà
per sempre, un spino, un eternale ardore.