Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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La Leda senza cigno

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6. Il sonno umano è un errore come il tempo e come lo spazio.

Il nostro letto non è se non il simbolo d’un rito incompreso o mal compreso, come l’antico catafalco annuale di Adone o quello di Gesù eretto nella navata innanzi Pasqua. Non l’uomo ma l’imagine cèrea d’un dio vi si stende.

Gli occhi della sopravvenuta erano di quelli che ci lasciano perplessi e disperati come davanti a una muraglia liscia di roccia senza varco e senza presa. Gli orli delle palpebre induriti e netti come castoni li legavano come questi legano le gemme, e mi facevano pensare agli occhi d’un dio o d’un atleta di bronzo composti d’argento azzurrognolo o di pasta vitrea colati o connessi nella cavità del metallo per essere imperituri e per domandare in perpetuo ai mortali l’offerta o la lode senza concedere alcuna cosa in compenso.

Ma il colore della pelle sul viso nudo era per contro così delicato che non mai tanto m’aveva commosso la prima delle piccole rose scempie che sbocciano dallo stecco del pesco. Era un pallore illuminato non so se da una qualità insigne del sangue o dalla potenza della modellatura, non avendo io ancor mai veduto i piani d’una faccia vivente trattati con tal larghezza scultoria che, nell’angustia d’una maschera, potesse ricordarmi i movimenti grandiosi del terreno nei paesi nobili, il ritmo inimitabile della valle e del colle nella stagione più chiara e più tacita.

Mi copersi con la mano la vista; e, chinata la fronte, l’ascoltai per alcuni attimi respirare di dalla musica, o forse in fondo alla musica che mi pareva non più correre lungo la tastiera ma agguagliarsi e quietarsi come quei ricetti d’acqua lasciati a vespro su la spiaggia dalla marea quando la mia imaginazione nutrita dal Mediterraneo una causa alla loro sublime bellezza fingendovi trasportata qualcuna delle statue che naufragarono sotto le Cicladi.

Il sentimento della presenza umana mi sembra così meraviglioso che mi domando per quale aberrazione o per qual viltà io mi compiaccia di vivere tanto a lungo in mezzo agli alberi e su le rive deserte. Ma bisogna dire che anche l’anima più robusta e più sveglia si ricusa agli sforzi consecutivi e che occorre una straordinaria somma d’attenzione per trapassare l’ottusità della consuetudine e per giungere a percepire il ritmo nascosto di una vita estranea.

Io fui sùbito sopraffatto da un’onda di tristezza, come se quella creatura avesse rifatto per me il cammino tra le case dei malati, avesse patito lo sguardo di quei due feroci occhi senili sporgenti in cima di quelle due borse grinze, e mi riconducesse i miei pensieri color di cenere brancicati da quella mano sudicia che colava in terra.

Con una forza d’allucinazione inoppugnabile come la realtà, sentii a un tratto la miseria e la sciagura in un modo informe e diffuso, non legate a quel volto e a quel corpo ma sparse come quando si sale su per una scala sinistra, si esita per un corridoio scialbo, e poi s’entra in una stanza mal rischiarata ove restano le tracce d’un delitto commesso. Penso che avrei scoperto nell’oscurità qualche oggetto rivelatore se non avessi tolto di su’ miei occhi lo schermo e non mi fossi voltato a guardare la mia vicina con una sconvenienza involontaria che sembrò meravigliarla più che offenderla.

La sua bellezza aderì ai miei sensi perfettamente come se in questi ella avesse già il suo luogo e vi rientrasse a quel modo che la cosa rara si riadatta alla sua custodia o il rilievo alla sua impronta. La mia divinazione dolorosa si ritrasse in disparte e mi lasciò intero nella commozione nuova.

La linea di quella forma obbediva alla legge delle grandi opere plastiche; perché, in qualunque punto io la imaginassi generata, ella era condotta al compimento da una specie di fluida necessità: partita dalla nuca, tornava alla nuca; partita dal ginocchio, tornava al ginocchio, con una continuità e una pienezza proprie a lei sola, con un movimento che solo le conveniva come a una determinata forma musicale, come l’«a tre quarti» a quell’Andante, come l’«a sei ottavi» a quell’Allegro di Domenico Scarlatti.


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