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15. Anche nella mia casa erano accese le lampade. Le nuvole, avendo rioccupato il cielo, rasentavano il tetto, in fuga verso levante. Quando entrai, le stanze terrene erano piene di quello spavento indistinto che sembra riempire le stanze deserte finché la presenza consueta non lo dissipi; ché, quando l’uomo si volge per andarsene, sembra che un fantasma prenda il suo luogo e si sieda ov’egli era seduto poco innanzi. La marea saliva; e qualcosa di simile alla minaccia di una moltitudine di femmine romoreggiava contro la duna, rimbombava nella veranda.
– È venuto qualcuno? – chiesi al domestico.
Se bene non potessi aver dubbio su la persona, l’altra mi si voltò nel cuore con un tonfo sordo.
– Aveva l’aria molto inquieta – soggiunse. – Ha aspettato qui fino alle sei. La prega di andare da lei sùbito dopo pranzo.
Ci sono ore della vita solitaria, in cui la sensibilità del corpo sembra dilatarsi fino alle pareti della casa, in quella guisa che talvolta levando un braccio sentiamo il nostro cuore battere fino alla punta delle dita e oltre.
Tutta la casa pareva prepararsi a ricevere un che d’incognito. Un evento silenzioso poteva entrare per ogni porta. L’attenzione delle mura era tutta rivolta verso la notte. Nessuna stanza conservava il suo sentimento d’intimità, ma ascoltava quel ch’era per accadere di fuori e tralasciava di rattenere il calore e di conciliare i pensieri delle cose in lei raccolte e disposte.