Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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La Leda senza cigno

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23. Ora la Leda senza cigno era , così liscia che pareva non dovesse avere un solco neppure nel cavo della mano, levigata veramente dall’acqua dell’Eurota. E la sua vita era un’altra.

Nasceva d’una di quelle razze miste la cui virtù funesta è prodotta da un oscuro concorso di sangui e di fati, come la potenza di quei miscugli da infuriare, ove la radica della mandragola e l’umore della giumenta bollivano insieme. Suo padre, grande amatore di cavalli, aveva tenuto una famosa scuderia da corsa; poi s’era rovinato, aveva vissuto d’espedienti, da cavaliere d’industria; discendendo di bassezza in bassezza, inciampando più d’una volta nel codice. Dopo aver vissuto in contatto cotidiano coi palafrenieri, coi fantini, con gli allenatori, sfogando la sua temerità nativa e i suoi gusti da circo nel montare i puledri trienni su i galoppatoi publici, ella aveva sposato a diciottanni un gentiluomo francese: aveva divorziato a venti; e s’era ritrovata prima con una fredda canaglia d’amante e poi sola, nel disagio, alla ventura, esposta alle persecuzioni del padre che voleva foggiarne un bell’arnese da guadagno non per lei ma per sé. Incapace di affrontare la miseria, deliberata a tutto, ella aveva incontrato in una città di terme una specie di procacciante in cerca di complici e di vittime: il quale per un séguito di accorgimenti felici era riuscito a fidanzarla con un giovine sciocco appena appena escito di minorità, orfano, già molto ricco e prossimo erede d’un’ancor più lauta fortuna. Ella, il fidanzato e il mediatore avevano vissuto due anni insieme, «avevano fatto la vita», errando d’albergo in albergo, di piacere in piacere, di noia in noia, dall’una all’altra veglia, dall’una all’altra tavola da giuoco, in una promiscuità non confessabile; ché la promessa sposa aveva posto il divieto fino all’ascensione del talamo e il paraninfo era riuscito ad esercitare sul novellino un dominio assoluto, simile a una sorta di malia perversa, servendosi di quel filtro che si porge con la siringa d’oro. La morfina, somministrata dalla mano sapiente, aveva diffusa una così rosea benignità che senza sforzo e senza sospetto fu ottenuta in favore della fidanzata austera una polizza d’assicurazione per un milione e mezzo, pegno nuziale. Quando il primo versamento fu eseguito in regola, la previdenza consigliò di sopprimere il benefattore. Un giorno, in una via difficile dei Pirenei, a una dose più forte di narcotico seguì una disgrazia preparata con squisita cautela. L’automobile rimessa in movimento, dopo una sosta casuale, precipitò nella forra lasciando su la carreggiata l’assassino incolume.

Non ascoltavo cose già note? Certo, di simili casi abbondano gli annali giudiziarii e i rossi romanzi ad uso dei portinai. Ma serpeggiava, di sotto a quella massa di fatti volgari, non so che canale d’ombra che il mio spirito aveva già risalito e ora novamente risaliva riconoscendovi in confuso gli indizii del suo primo passaggio. E quella profondità mi dava l’ansia di scavare ancor più profondo in me stesso, di raggiungere in me un più vero di me, il quale non temesse e non fallisse dinanzi a ciò che stava per formarsi e per apparire.

Come sai queste cose?

Egli animava di tratto in tratto il suo racconto con talune di quelle intime rivelazioni che non può commettere ad altri se non chi si confessi audacemente contro sé medesimo.

Le so da lei.

Ella si accusa?

Non si accusa; parla. Ignora dove sia il bene, dove sia il male. Prima ti dice una cosa tremenda, senza guardarti, con non so che sorriso timido, come chi provi col piede la resistenza della tavola posta a traverso il torrente, prima di passare. Poi ti curva come un carico, ti pesa sopra come una colpa che tu debba reggere con l’osso della tua schiena.

E sei sicuro che di queste cose ella non si componesse allora e non séguiti ora a comporsi una vita imaginaria?

Porta il ferro della realtà ben ribadito al piede.

Come?

Vive con l’assassino.

Dove?

In questo paese.

Da quanto?

Da due anni.

Era già la sua amante, prima della catastrofe?

Sì, era; ma per compenso della mediazione, e poi per mezzo della complicità. Ella lo abomina.

E perché lo tollera?

Le circostanze che accompagnarono la fine del promesso sposo parvero sospette. E la Compagnia ne profittò per contestare la validità della polizza. Le prove mancavano o eran troppo vaghe. Nondimeno il processo fu avviato e si trascina ancóra. L’uomo dunque la tiene sotto la minaccia di una denunzia folle e della mutua perdizione. Credo che, terminato il processo sul cui buon esito finale non v’è omai dubbio, la somma debba essere divisa tra i due in misura già pattuita.

Quali rimasugli di vecchio romanzo poliziesco t’ingombrano la fantasia?

Tutto questo è reale, e non è se non un barlume della realtà cotidiana. Imagina: essi vivono insieme, , sul Bacino, in una di quelle villette sonore fatte di tramezzi e di palchi sottili, dove s’ode il cuore battere e il polmone gonfiarsi, dove non è possibile sfuggire all’odore dell’essere odiato né allo sciacquìo della sua catinella.


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