Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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La Leda senza cigno

28

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28. Non contenevo più il mio tumulto. Su quella parola egli s’era interrotto per bere ancóra un sorso, per versare ancóra un po’ di fuoco liquido nella caverna ove ansava il suo cuore stracco. Egli fasciava interamente il bicchiere con le spatole delle sue dita, cosicché l’indice e il pollice circondavano l’orlo ov’egli metteva le labbra aspirando l’essenza del liquore intiepidato. Le sue narici palpitavano sopra la maschera lustra del vizio. Tutto in lui ora m’offendeva e m’irritava. Vedevo, tra le sue dita deformi e il vetro quasi spremuto, tremolare non so che sorriso odioso. Pensavo ai porci demoniaci che sogliono abitare in quella specie di artisti aspettando d’esserne espulsi dall’esorcismo dell’inspirazione.

Racconta, racconta. Come dunque è venuta a te?

Rise brutalmente nel cerchio del bicchiere.

All’odore della carogna, forse.

Si potrebbe dire con più grazia funebre: a raccogliere il canto del cigno. Non ti l’idea d’una Leda? Guarda questo gruppo dell’Ammannati.

Egli sentì l’inimicizia nella mia voce.

Compagno, – fece convulso, fissandomidimmi la verità. Non fu simulazione, ieri, quando mi chiedesti chi fosse? Non l’hai tu conosciuta prima di me? Non sei passato per , tu anche?

No.

E perché sei geloso?

Non geloso, ma forse un poco iroso. Tu lo sai: io non concepisco la vita se non sotto la specie dell’espressione. Ora coi tuoi racconti opachi tu hai contrariato, linea per linea, la sua espressione in me. Bisogna che io la ritrovi e la ricomponga a forza d’amore e di dolore.

Toglievo ogni gravità a quel che dicevo, col tono e col sorriso.

Verrà a te; e l’amerai, e ne soffrirai.

Me la lasci in retaggio?

Certo, io ne vorrei morire. Ma sono trascinato via come Paolo, sono sottratto al bel destino. E la sua strana sorte è questa: che, al buon momento, ogni vittima designata le sfugga. Ella medesima sfugge a sé.

A un polmone già leso da una ferita non hai temuto di comunicare il tuo male?

L’aria della stanza pareva divenuta cruda come quella che spira nei luoghi senza legge e senza menzogna. Non ero più capace di reticenza né di dolcezza. Vedevo da una parte quella forma stupenda, trattata con una magnanimità non men severa di quella che rivelavano gli esemplari dell’arte antica nella cui testimonianza continua si conferma il mio senso del mondo; e dall’altra parte consideravo quell’umano focolare d’infezione, quella sorta di sensualità ignominiosa che non potevo separare da un’imagine di lordura e di frode. La mescolanza mi pareva inverosimile. In fondo a quella mia domanda era un’indagine maligna, ché lo sapevo millantatore e incapace di confessarsi deluso come il cavaliere di Petruchio.

L’hai tenuta veramente fra le tue braccia? Hai respirato in lei?

Le mie pupille lo foravano. Una contrattura involontaria delle labbra mi parve l’indizio atteso; ma egli lo cancellò con uno scoppio stridulo di riso, levandosi e un poco barcollando.

T’informi con una prudenza senza pudoredisse. – Ma il contagio nella successione sarebbe la mia vendetta. Che ora è? Passerà di qui verso le cinque, a prendermi per ricondurmi. La vedrai. Desidera che tu le mostri i tuoi cani. Io partirò con mia madre domattina, senza fallo. È il caso di dire che ti trasmetto la fiaccola correndo.

Apersi la vetrata su la veranda, con la fretta di chi si senta soffocare da una esalazione malvagia.


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