Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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La Leda senza cigno

30

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30. Il morituro parlava il suo vero linguaggio. La disperazione parve talvolta imitare il grido d’una felicità terribile e afferrare il destino alla gola con una branca potente come quella di Beethoven. Tutto quel che innanzi era stato detto o pensato, tutto fu piccolo, vano e lontano. La luce del giorno fu simile alla cecità.

Mi volsi contro lo stipite, vi poggiai la mano alzata e contro la mano la fronte, con chiuse le palpebre. Feci la notte in me, per cogliere i bagliori che la musica spandeva di tratto in tratto sul fondo vacuo della vita. Una pausa mi sospese sopra il mio proprio annientamento. Era come se il silenzio fosse per durare in eterno. Il pianto ricominciò; poi di nuovo si tacque. Ricominciò per la terza volta, come in una sosta al limitare della porta che si deve chiudere; poi finì. E nessuno si mosse.

D’improvviso udimmo un rombo al cancello del parco.

E quegli si levò, e io mi volsi; e mi vidi scolorato in lui, smorto e con le labbra livide, come chi dal fondo risale a galla senza respiro.



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