Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
Lettura del testo

La Leda senza cigno

32

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

32. Non portava più le pastoie. Quella inflessione della sua grazia, che avevo già notata dalla cintola in giù a imagine di Leda in atto di accogliere il cigno, pareva favorita dalla gonna drappeggiata e quasi arrotolata in avanti su le due gambe con una maniera che mi faceva pensare ai petali ravvolti di quei grandi giaggiuoli foschi detti gigli di Susa. Ogni piega e l’ombra dentro la piega e il chiaro su la falda e la docilità del tessuto e il disegno ricorrente erano modi della sua fresca vita, che mi toccavano come la linea del suo mento tirata dalla divina giovinezza. La ricevevo in me, semplice e numerosa, in quella guisa che la massa dell’aria ci preme intiera e nel tempo medesimo penetra ciascuno dei nostri pori. Tutto in lei m’era noto e tutto m’era ignoto, per l’attimo e per sempre. Ed ella certo lesse questa novità ammirabile nei miei occhi.

«Ancóra! Ancóra!» Uno spirito ripeteva in me la parola di chi non è mai sazio e di chi sa che dopo una cosa bella v’è una cosa più bella.

Cose visibili ed invisibili sopraggiungevano nella luce, come tratte da una corrente, con quell’affluire precipitevole che vediamo presso le cateratte.

Il parco era trasmutato in una cuna di calore, per uno di quegli affocamenti improvvisi che nella Landa sembrano l’inganno della Morgana occidentale intenta a simulare l’alito estivo. L’oro solare e il pòlline arboreo mescolavano al palpito del vento una medesima polvere. I pini avevano alla punta di ciascun ago una gocciola d’azzurro.


«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL