Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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La Leda senza cigno

35

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35. Vi sono sguardi che incontrandosi celebrano un mistero in un battito di cigli. Ve ne sono altri, o gli stessi, che si scambiano tal dono ond’è menomato il pregio di tutto il resto.

La paglia di pino secca strideva sotto i passi di noi tre, mentre tornavamo verso il cancello senza parlare. I fusti da una banda splendevano come corazzati di rame, dall’altra nereggiavano come spalmati di pegola. I margini erano gialli di farina selvaggia. Concilii di bruchi stavano raccolti sotto una specie di canavaccio che poteva somigliare tanto a una spoglia di serpe quanto alle cellette d’un favo votato e disseccato. Rabbrividii udendo all’improvviso presso il mio orecchio quella specie di tintinno sinistro che, nella notte lontana, m’aveva evocata la figura del pastore taciturno intento a oprare la sua maglia interminabile. Era la brezza del vespro nelle lunghe foglie fatte a ferro di lancia.

Addio, dunque – disse il mio amico, presso lo sportello.

Partirai veramente domattina?

Partirò.

Forse mi troverò alla partenza del treno, per salutare tua madre.

Gli si torse la bocca come a un rigurgito d’amarezza. Salì con pena, si sedette accanto alla donna del mito.

Pareva ch’ella non conoscesse più né me né lui. Ora, tra gli orli delle palpebre induriti e netti, aveva di quegli occhi che ci lasciano perplessi e disperati come davanti a una muraglia liscia di roccia senza varco e senza presa. Lo stesso bagliore obliquo, che mutava in piastra rossa la scaglia dei tronchi, le infiammò su la tempia il metallo dei capelli.

Addiodisse ancóra il mio amico, levando la mano che aveva tratto dalla tastiera la lamentazione notturna.

«Non t’ama, non t’ama

Le ruote si mossero nel rombo, solcarono profondamente la via sabbiosa lasciando tra l’uno e l’altro solco qualcosa di quel fascino che la mia lanterna posta in terra aveva rischiarato nella notte lontana.

Il rombo si attenuò, si perse. Rimasi in ascolto tuttavia. Non udivo più se non i colpi del mio cuore ripercossi nella mia nuca. Un’ansietà simile a una vampa struggente dissolveva in me i pensieri, e mi ricacciava in bocca quel gusto di sangue e di cenere che avevo masticato sul cammino interrotto da quella mano sudicia colante e brancolante in cerca della cosa perduta.


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