Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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52. [Oggi l’invasore è a La Fère, occupa la cittadella forse immemore d’un’altra capitolazione precipitosa davanti alla medesima forza. I suoi cavalli scendono per la vallata dell’Oise verso Parigi, calcano già il vero cuore della Francia, scalpitano la più sensibile parte della terra afflitta, con ogni pesta profanano una memoria, offendono una bellezza, rinnovano un dolore. Ho veduto un velo subitaneo turbare lo sguardo di colui che dianzi mi dava la triste novella, nato nella contrada natale di Jean Racine, all’ombra delle vecchie torri alzate da Louis d’Orléans. Ora, se socchiudo gli occhi ed evoco l’Isola dai tre Gigli, mi sembra di vedere tra poggio e poggio tutti i suoi campanili tremolare come i suoi pioppi; e forse non è se non il pianto contenuto del mio amico, che mi fa vacillare lo spirito.

Ma mi riappare, ne’ miei ricordi di pellegrino, l’antica signoria dei Coucy issò la bandiera bianca, avendo perduto tre de’ suoi borghesi, dopo un assedio d’un giorno, con tutte le sue vettovaglie intatte e con più di cento cannoni ammutoliti. La foschìa di quel malvagio novembre lontano sembra oggi a un tratto rispandersi su Parigi attonita. Il cielo è ingombro di cenere, le strade sono pallide come arterie senza sangue, la Senna stagnante e spessita sembra resistere allo sforzo del rimorchiatore fumoso che trascina la lunga fila dei barconi carichi di carbon fossile; e tutti gli alberi perdono le foglie, come se all’improvviso si ammalassero d’autunno.


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