Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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53. Il palpito della città è intermesso, ineguale, rotto da lunghe pause o accelerato da un’ansia folle. Una piazza deserta par votata dalla tromba d’una nuvola che s’alza, s’avvolge e trascorre a levante, torbida e gonfia della vita rapita agli uomini. Uno sprazzo crudo di sole contro un marciapiede popoloso sembra annientare i passanti, come uno scoppio di mitraglia. Un gruppo di operai famelici, sotto un muro spellato di vecchi affissi osceni, fosse alla Porta Delfina. Il veterano già rimastica il pane scuro dell’assedio, tra i denti che gli restano. La cortigiana, abbandonata dal mantenitore, si dondola su gli alti tacchi con un gioco sapiente di ginocchi e di lombi nella gonna stretta, lungo le botteghe chiuse, sotto l’ingiuria delle oneste portinaie, già pronta ad accogliere il dragone bavaro o l’ussero della morte. Contro i cancelli d’un ambasciatore invisibile s’accalca la fame degli emigrati, s’impazienta la lunga attesa vana; e già l’odio e la ribellione balenano sopra la miseria, mentre il lezzo umano si mescola al fiato putrido dell’estate moribonda.


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