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57. Ogni attimo ha qualcosa di lontano e di sacro; e in ogni luogo lo spirito è dalla poesia rapito fuori del tempo.
La Senna ristagna sotto una calura cinerea. Di là dalla ripa arborata il poggio s’accovaccia sotto un castigo di nuvoli. Nell’acqua inerte si specchiano le croci bianche abbaglianti dipinte su le prore delle lunghe barche di traffico. L’ululo d’un rimorchio lacera l’afa greve, e gli risponde un mugghio dal polverio del ponte. Innanzi la porta risonano i colpi degli abbattitori d’alberi, che tagliano i tronchi per abbarrare il passo. Dietro la porta, nella via soda, i picconi scavano la trincea. Qualcosa di primordiale e di selvaggio è nel chiarore del nembo imminente. Il pericolo soffia per la valle del fiume tributario; par visibile come la polvere, come il fumo, ch’entrano negli occhi e nella gola di chi cammina.
Una immensa mandria di buoi s’incalza e s’accavalla sul ponte, sbocca su la strada, si spande per la ripa, spinta coi gridi e coi pungoli dai soldati e dai bovari polverosi. Sono mille, sono duemila, sono tremila. Si precipitano innanzi come un torrente gonfio; e hanno il colore dell’alluvione che ha rapinato le terre fulve, il colore della ruggine e dell’ocra, della paglia e del croco. Perché tanto si affrettano? per sfuggire all’inseguimento del nemico? Par di udire già all’altro capo del ponte il galoppo dei cavalli e di scorgere un balenìo d’armi in asta e di respirare l’antichissima forza dei re chiomati.