Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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58. L’amico che mi accompagna, della miglior razza di Francia, mi serra il braccio in una sùbita commozione. Egli ha inteso, nel grido d’un giovine bovaro, il nome della bella bestia color di covone che passa rasente sfiorandoci col suo corno spuntato: «Jaunet!».

Non è l’accento di Piccardia? Qual campo del paese invaso arò il bue flavo dal nome leggiadro? Le figure delle città violate riappariscono: Amiens rivolta verso il suo Angelo fulgido di cicatrici diritto sotto la Porta maggiore che il Paradiso invidia; Saint-Quentin, squillo di tromba, rintocco di campana, grido di riscossa, raccolta nella loggia del suo palazzo comunale la fede inespugnabile; Noyon silenziosa e pensierosa, con le sue case di cotto e i suoi orti murati, intorno al suo Duomo dall’abside coronata di cappelle raggianti…

La tristezza del mio compagno e il richiamo rinnovato del bifolco risvegliano in me il ricordo d’un campo toscano a me dolce, ove sino al tardo vespero udivo la voce di colui che guidava l’aratro incitando i bovi bianchi dal muso imprigionato nella gabbia di salcio splendenti tra gli oppi e gli olivi più che ogni altra cosa chiara, mentre su dall’Arno veniva il rombo delle mulina e delle pescaie.


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