Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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62. È un giorno mistico. Le nubi sono così fulgide e si dilatano in così ampio cerchio che mi fanno pensare alla Rosa sempiterna, e mi rammentano la parola di Beatrice: «Vedi nostra città quanto ella gira Quale può esser mai l’ardore dell’azzurro, oggi, su Roma? e qual mai, apparendo al popolo rapito, la faccia del nuovo pontefice latino?

Chiudo gli occhi, col capo tra le mani, coi gomiti su la pietra del parapetto; e il silenzio m’accompagna nella memoria la via di Santa Marta, la via delle Fondamenta, deserte e sonore sotto il mio passo, ove in giorni inquieti di giovinezza e di ambizione cercai un che di grande e di remoto all’ombra dei Palazzi Vaticani. Rivedo, più oltre, la Pineta Sacchetti, simile a un colonnato chiomoso, ove tra l’erba fioriva il porrazzo che è l’asfodelo dell’Agro, per me inespugnabile come quello dell’Ade. solevo far lunghe soste, in vista della mole papale e del Soratte solitario, con una specie di pensieri che non ritrovo più ma che mi raffiguro quasi corporei, dotati d’una violenza flessibile e audace, in quel modo che un cacciatore si ricorda del fiato forte d’una fiera con cui ha combattuto da vicino.

E rivedo la volta dei Profeti e delle Sibille, dove oggi forse dinanzi all’Eletto si abbassano i baldacchini dei porporati. «Acceptas ne electionem…»

La materia del mondo è di nuovo incandescente, come il massello a riempiere la forma cava. Se il pontefice fosse un artefice di vita, se il vicario di Dio fosse un creatore onnipotente, quale opera potrebbe escire dalle sue mani!

Or è moltanni, in una notte di dolore commossa da un fremito di speranze, salutammo un re eletto dal Destino con segni che ci parvero meravigliosi.

O tu che chiamato dalla Morte

venisti dal Mare,

Giovine, che assunto dalla Morte

fosti re nel Mare!

Si sogna che in questa ora sia vestito della tunica bianca e coperto del camauro vermiglio un papa giovine come quell’Ottaviano principe de’ Romani nomato Giovanni XII, imberbe come il figlio di Alberico ma capace di contenere nel suo petto il coraggio sovrumano d’Ildebrando. Si sogna ch’egli non vada a sedersi sul trono preparato davanti all’altare per ricevere il bacio dei suoi cardinali, ma rimanga solo e si stenda supino sul pavimento della Cappella, con gli occhi e gli spiriti rivolti alla visione sublime di Michelangelo, e quivi faccia la sua vigilia, steso come le miriadi d’uomini in quel punto abbattuti su la terra dalla guerra, inspirato dalla Morte che è la musa della Resurrezione.

E, se tu volgi col dito

il foglio del libro verace

or che il Genio con la sua face

t’accende la lucerna,

qual tirannide crolla,

nasce qual novo mito,

qual puro eroe s’eterna?


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