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64. Mi tornano nello spirito le melodie che non furono udite e che perciò a taluno devono oggi sembrare più belle. Rimpianto e speranza mi fanno delle due patrie una patria sola. Qual potenza si mostra oggi, laggiù, dall’altura che è la sommità dell’anima cristiana, all’aspettazione del popolo? Qual mano si leva oggi a tracciare tre volte nell’aria di Roma il segno della croce, mentre da ogni terra una crociata senza croce si leva contro l’ultima barbarie? Ecce sacerdos magnus.
Ma forse il nuovo Pastore è carico d’anni e, incatenato alla pietra secolare, già si curva sapendo
come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
che piuma sembran tutte l’altre some.
L’ombra di Dante sembra soccorrere alla mia tristezza, creando in me per l’eco della sua rima un sentimento musicale che si confonde col desiderio della patria lontana. L’anima affannata si sogna di cercarlo nei luoghi dove forse peregrinò, e di ritrovarlo, e di domandargli quella consolazione ch’egli domandò sì dolcemente al buon cantore da Pistoia. «Casella diede il suono.»
65. Come in sogno entro nel laberinto delle vie scure, che sta fra la piazza di San Michele e quella più antica
Ma dov’è il «vico degli strami»? Ecco, in una pietra murata, San Giuliano che traghetta Gesù con la sua chiatta. Ecco, alla porta della chiesetta povera, una sponda di pozzo riturata e consunta, ove forse bevve Gregorio di Tours. Ecco le due absidiole con umiltà francescana rannicchiate contro il Coro, ove sono sepolti i due Normanni incestuosi, Giuliano di Ravalet e la sua sorella Margherita, con le due teste mozze. Si dice che quivi Dante abbia pregato. Ma oggi l’altare non è più latino: è servito da preti e da diaconi barbuti, con la liturgia di San Giovanni Crisostomo.
Un campanile di vecchia pietra fosca leva in un campo di ruine la sua croce sormontata dal gallo di ferro. Intorno, case sventrate che mostrano le tracce miserabili degli abitatori, cumuli di mattoni e di calcinacci, rottami e immondizie, travi tronche, tavole fendute, palchi, puntelli, tutti gli orrori della distruzione, come in una contrada devastata dall’invasore. Di là dalle palafitte si scorge l’abside annerita come da un incendio, con le sue vetrate protette dalle grate fulve di ruggine. I mostri delle gronde protendono i lunghi colli squamosi, pontati con le branche all’orlo del tetto. Una plebe meschina e afflitta sta seduta lungo il fianco della chiesa, dalla parte opposta al chiostro e al presbiterio: vecchi, donne, fanciulli, con su le ginocchia un cesto di lattuga, un filo di pane, una cartata di pesce fritto, un frutto mézzo in una foglia floscia. E il rombo delle campane fa tremare l’aria su i loro visi esangui, come un velo d’acqua ghiaccia trema sempre su i visi degli annegati esposti laggiù, alla Morgue, dietro il Coro di Nostra Donna.