Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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66. Questo è il santuario di San Severino. La tradizione m’appare verità. Sento che in quest’ombra Dante pregò e meditò, ebbe il suo luogo pio riconosciuto per consuetudine dalle sue ginocchia. Dove?

La grande nave mediana è rischiarata dal duplice ordine di finestre; ma le due e due navi laterali, basse come i portici dei chiostri, sono occupate da un’ombra calda e bruna che fa pensare alla pàtina preziosa composta dal tempo e dalla musica sul legno sensibile d’un violino. Per mezzo ai pilastri nervuti, scorgo una vetrata a losanghe senza imagini, simile a una lastra di ghiaccio segnata di mille incrinature. Scorgo, più in , in un bagliore sanguigno, Gesù crocifisso, che riceve il colpo di lancia dal Romano. Tutte le cappelle intorno vivono d’un silenzio animato, sotto il gesto d’un santo o d’un arcangelo, d’una vergine o d’un evangelista: San Luigi Gonzaga riceve l’ostia dalle mani di San Carlo Borromeo; San Michele schiaccia il demonio; San Giorgio trafigge il dragone; San Severino, poggiato alla sponda del suo pozzo, parla con Clodoaldo e coseguaci; Santa Genoveffa guarisce la madre sua. La pietà, la forza, la saggezza, il miracolo brillano come lo smeraldo, come il rubino, come l’ametista, come lo zaffiro.


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