Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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78. In quelle notti di settembre la buona Vanna, la pulzella di Lorena, saltava sul parapetto, in arnese di mota, in tutt’arme di fango, e gridava: «Ohimè, messer Gesù, quanto sangue di mia gente cola in terra! Perché da niuno fui desta?».

M’accadde di veder legare a diecine i cadaveri terrosi intorno a un palo, dritti, come intorno all’ascia le verghe dei littori; e ripensai quella nostra moneta consolare ove il fascio involto di lauro sta fra una spiga e un caduceo. Guardando un de’ vostri giovani eroi irrompere dalla trincea, coperto di melma, con la faccia simile a un’informe zolla armata di denti e di occhi, mi avvenne di ripetere in me medesimo la parola iniziatrice: «Insieme giaceste, come il bimbo e la madre, tu e la terra?».

Per quanti altri segni riconobbi la nostra elezione, Chiaroviso, mia suora di Francia, nelle settimane miracolose!

O vespri sublimi, in quel dominio della prima stirpe, in quel suolo di martiri e di re, quando udivo i racconti della recente prodezza seguirsi come nelle lasse d’una canzon di gesta, presso le rovine della Badia cisterciense non immemore d’avere ospitato San Luigi! Un gruppo di cavalli morelli s’abbeverava nel nero stagno feodale, ove due cigni immobili parevano adunare in sé quanto di candore e di silenzio rimaneva nel folle mondo. S’udiva tonare il cannone, a borea, nella montagna occupata dal nemico; s’udiva ansimare come un bufalo enorme il carro di ferro impantanato nella via cupa; s’udiva in alto il battito d’un velivolo fendere la nube, segnando il ritmo novello del coraggio solitario. E il cielo, dilacerato a levante, aveva il colore del tendine «che pallido è come la perla ineffabile, palesato nella ferita».

Dimenticherò io quell’ora e la sua bellezza? Gli Zuavi di Palestro e i Cacciatori di Solferino, i veterani dell’esercito d’Italia, non dunque mi fissavano dal fondo di quelle giovani pupille? Il cannone di Melegnano non dunque tonava alla mia sinistra, tra il cimitero e il ponte?

Non altro se non la forza dell’amore mescolava anche una volta nel mio sogno i due sangui fraterni.

Su i ghiacci dello Stelvio, su le nevi della Carnia, su i picchi delle Dolomiti, su i dirupi del Monte Nero, da per tutto, nella nostra Alpe truce, oggi risuona un canto possente come quello dei Legionarii: la voce stessa di Roma. Così mi parve un giorno riconoscere la cadenza dell’antichissima vostra canzone carolingia nel coro dei vostri soldati.


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