Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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82. Dopo, dal ciglione della via ingombra di carra cariche di feriti esposte al fuoco delle batterie avverse, abbracciai con un atto d’amore la città di Clodoveo non visibile se non per le punte delle sue guglie.

Erano le guglie di San Giovanni della Vigna. Superavano il colle che nascondeva le mura. Parevano i culmini sensibili della città nascosta, sensibili come le mani che si tendono, come le mani che implorano senza congiungersi o prima di congiungersi. Toccavano il cielo ma dove il cielo è cittadino, dov’è umanato dal respiro delle case, delle strade e delle piazze. La forza accolta della città viveva in quell’aria palpitante dove la pietra scolpita e commessa sembrava assumere qualcosa di spiritale e quasi di alato. Pur sotto il tuono dei mortai, pensavo al canto dell’allodola gallica. Pensavo a tutte le vostre Cattedrali, a tutte le pietre delle vostre Cattedrali, che il canto etereo dell’allodola sembra aver condotte dalle fondamenta alle sommità, più alto, sempre più alto.

Ora, da quel ciglione, sentivo e misuravo il ritmo generatore della città profonda, con un sentimento quasi filiale, con un istinto di razza, con una divinazione non dissimile a quella che mi rappresentò gli spiriti di Siena quando per la prima volta valicai la disperazione sublime delle sue crete affocate dal tramonto.


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