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99. Ci arrestammo davanti a una grande porta nera che lasciava passare un poco di lume tra i battenti socchiusi. Salimmo i gradini, penetrammo nel vestibolo. Fiutammo l’odore della carta umida, dei caratteri di piombo, delle macchine rotanti: l’odore elettrico, l’odore febrile del giornale che scrivono compongono stampano gli insonni. Su e giù per una scala d’ampiezza patrizia salivano e scendevano uomini frettolosi come se dovessero consegnare i loro fogli a staffette che li attendessero. V’era là quasi un riflesso della guerra lontana.
«Il bollettino di Cadorna! Il bollettino di Joffre!»
Escimmo nel buio. Vacillavo sopra il primo gradino, come cieco delle due pupille. Mi guidò leggermente la vostra mano di sorella. E sentii quanto di fierezza era nella vostra gentilezza.
Mi sembrò che per voi, Chiaroviso, il rimatore senese avesse cantato:
È gentilezza dovunque è vertude
siccome è cielo dovunque è la stella.